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B33

venerdì, 25 Giugno 2021

C’è vento dopo il temporale di stanotte, e pochi umani in sala d’aspetto. Una luce prepotente, un televisore acceso sui reflussi gastroesofagei morali del mondo di fuori, e intorno voci sommesse che parlano di sonno che non arriva, di mercato, di bambini. Si sente un qualche conduttore di programmi mattutini parlare di miracoli, di mano divina, di essere circondati di amore da lassù, mentre in sala, in egual misura, sopra le mascherine si vedono occhi che si inumidiscono o che roteano dopo un vistoso no della testa.

Ho sonno, ho bisogno di dormire anch’io, signora, stamattina devo fare questa flebo che l’altra volta mi ha allettata per tre giorni e spostato di una tacchetta la soglia di ciò che sembra importante, non so in quale direzione. Star bene. In piedi, in forze anche solo per lavare i piatti, per fare due passi in giardino… oro. Una scintilla quotidiana, adesso, si è accesa a illuminare ogni gesto, in contrasto col buio di quando manca.
Passerà anche questa, lo so, e non mi fa più tanta paura come prima, e pure nel frattempo temo, temo e faccio del mio meglio per arginare la preoccupazione. Avverto anche un grande senso di mancanz… o essere manchevole, forse, verso Lui che mi sta accanto e per il quale dovrei… non lo so cosa dovrei, ma mi sembra di essere sempre in difetto. E’ che questa malattia prolifera effettivamente in tutte le direzioni, si infila anche sotto le lenzuola, e le metastasi che ho nelle ossa me le ritrovo anche nello scheletro stesso della vita a due, a quattro, e fuori.
Un’altra forma di paura, dopo quella strettamente legata alla sopravvivenza: ce la farò a dare una vita quanto più possibile normale a chi condivide con me questo pezzo di strada?