Articoli marcati con tag ‘eus voci’

IX. KARMA

lunedì, 3 Novembre 2008

     Rilassati,
     respira profondamente
3   e stai
     karma
     ché arriva
6   il controllore.

[Federico Maria Sardelli, Proèsie II, 2008]

Save the population

giovedì, 16 Ottobre 2008

Pistol and its pawn:
sell it to the lexicon.
A pistol and its pawn
blood and border lines be drawn
.

(…)

I put my cards upon the table
I do this because I am able
One picks his broken down devotion
I threw my pistol in the ocean
.

[Anthony Kiedis, 2003]

*

 Allora succede così, che le cose che ci mettono tanto tempo a finire sembrano – e sono – infinite. Così restano nella memoria quando sono passate, così si sedimentano e si irrigidiscono strada facendo, sicché nel guardarle non finire per settimane, mesi e poi anni interi, qualcosa nel cervelletto va in corto circuito: sei finita da tanto tempo, e allora perché sei ancora qui? Porca miseria, e levati di torno una buona volta. Tuttavia, questo e solo questo è il momento che per te dà senso a tutti gli altri, quello in cui le cose finite passano al momento successivo, trasformandosi senza andare perdute, irrigidendosi fino a diventare un metàmero della storia contenuta nel recipiente di una vita.
 Per dire questo momento così a lungo in-finito ti è capitato, cosa curiosa, di dover usare il noi. Che strano. Ma neanche tanto: con tutte le persone, le città, le voci che ci sono dentro. Quello che è stato veramente buffo è stato il fatto che bisognasse includere, nel noi, anche te. Non solo loro, ma loro e te. S’è detto da solo, dicevi. Ma non è proprio esatto. Te lo sei tenuto dentro per tre anni a prendere forma, prima che venisse fuori da sé. Due anni solo per capire dove stessero le braccia, le gambe, la bocca, un altro per renderti conto che dopo tutto avrebbe potuto anche camminare. Non ne sei stata particolarmente orgogliosa, pure, come ogni volta che qualcosa che deve prendere forma si scontra con il tuo mondo così lento, così dilatato. E che sarà mai?, Perché tutti fanno presto e io no?, Come si fa?. E già: come si fa a dire questa cosa, come si fa a dire il recipiente del mondo, delle forme dell’esistenza, o peggio ancora della fantasia umana? Non sei niente, eppure era questo che avevi nel recipiente della tua testa, niente di nuovo, ma ti piaceva vederci qualcosa di umanamente condivisibile. Qualcuno, tanto tempo fa, ti disse: pensa di doverla comunicare a qualcuno del Burundi. Ora dal quadrato alto del finestrone sotto il tetto la luna inonda la coperta sotto la quale la tua anima lavora per fare, per farsi continuamente, e pensi che quel signore del Burundi non lo raggiungerai mai, e purtuttavia quello che volevi dirgli lo hai detto: guarda, fin da tempi di cui non esiste più memoria, io e te mettiamo insieme le nostre storie nello stesso, identico modo. Ha un senso? Non lo sai ma, come accade per i sogni, il senso non è il punto centrale della questione. Il punto, il senso è il recipiente, e il momento in cui si svuota per poi far posto a quello che lo riempirà dopo, o quello in cui il prima e il dopo vi si trovano mescolati insieme in un impasto che non è più prima né dopo, ma qualcosa d’altro che prima non c’era. Oltre a questo, il resto non ti interessa granché. Quel recipiente di cui hai scelto di parlare è la cosa che più intimamente senti tua, e adesso è lì, nuda, tra una citazione e una nota a piè di pagina, nella forma di quell’odiato corpo quattordici, ormai in-finito anche quello insieme a tutto il resto. Questa fine infinita l’hai parlata, l’hai scritta letteralmente in somnus: insonne, in sogno, cioè nel solo modo e nel solo mondo che conosci per dire e salvare la sostanza di cui è fatto quel noi, del quale tu sei stata nient’altro che un paziente, capiente, ma pur sempre vuoto contenitore.

Corduroy (come se) – 1

mercoledì, 17 Settembre 2008

Stazione di Mestre stazione di Mestre
è in arrivo al binario numero sette
il treno locale per Piove di Sacco Adria
è arrivato al binario numero nove
il treno proveniente da Udine Pordenone Treviso
parte dal binario numero tre
il treno per Portogruaro

Por-to-gru-a-ro

Portogruaro va zo par ‘na riva longa piana
piena de piere e de piante
treno
sbrissa el se ingàmbara
ai primi passi sui sassi ch’el trova
le case va zo de rodolon
fin squasi al mar e là tac
le se ferma par no bagnarse

Le se senta le se sente lontane desperse
pai calighi d’inverno
fra mezo le cane de soturco
co el sol le bogie e le brusa
Portogruaro se slonga se destira se slanguorisse
se impenisse se svoda d’aria
deventa piata come ‘na cordela
bianca de bombaso
se schinsa come un platelminto
ne l’intestin de un can
Portogruaro xe ‘na strica d’aria verde
che se posa leziera
par tera
Sarà vero?
Mi no go mai visto Portogruaro
ma là ‘desso de çerto tuto xe muto
se perde se sfanta
te incanta
Portogruaro gruaro gruaro

[Ernetsto Calzavara, da Analfabeto, 1979]

*

– Ciao, neh.
– Ue’. Ciao.
– Dove te ne vai oggi?
– A Venezia.
– Questo ci mette tanto, fa tutte le fermate.
– Eh, lo so. Ho da leggere.

Sbircia il libro aperto, sorride.

– …
– …
– Che c’è?
– Niente. Aspetto. Leggo.
– Con quella faccia?
– Eh, questa tengo.

Si guarda intorno, a lungo.

– Però è vero che qua tuto se slanguorisse.
– Sarà ‘sto cielo bianco.
– El siroco.
Deventa piata come ‘na cordela bianca de bombaso.
– Madona, come che te vien male.
– Faccio del mio meglio.
– Eh…
– Uffa. Prova tu a dire acàlame ‘e parole p’ ‘e scippacentrelle ‘e chistu munno, e poi vediamo.
Scippaceche?
– Ecco. La scippacentrélla è una caduta, di quelle brutte proprio, che letteralmente ti scippa, ti strappa, le centrélle, cioè i chiodi dalle suole delle scarpe.
– Non ci sarei mai arrivato! Sci-ppa-ce… ‘speta, ma quello che hai detto che cos’era?
– Parole di uno delle mie parti.
– E come fa?
– Aspe’, te la scrivo. Così fai del tuo meglio anche tu, e io ti posso dire "comme te vène brutto!".
– No, vabbe’, ma scherzavo…
– E pur’io scherzo.
– Con quella faccia?
– Sempre questa tengo, non è che me la posso cambiare. To’, eccotela qua.
– Oh!

Legge, per un momento completamente assente.

– Non ci capisco quasi niente… che vuol dire acàlame?
– Significa calami, fai scendere verso di me.
– Nel senso che?
– Nel senso che da noi c’era l’uso di passarsi le cose da un piano all’altro dei palazzi con la corda e il cesto. E veramente si usa ancora.
– La sporta?
– Esatto. Quando uno dice così credo che in testa stia vedendo la mamma o la nonna o la zia che gli fa scendere il cesto dalla finestra o dal balcone.
– Ehi! Ma questa somiglia a…
– Essì.
– Dai!
– Bra’.

"Il treno. Regionale. Delleore. Docici. E ventitré. Per. Venezia. Santalucia. E’inpartenza. Dalbinario.Tre. Ferma in tutte le stazioni".

– Eccolo. Vabbuo’, fuma di meno che ti fa male. Ci vediamo.
– Eh. Oh, ‘desso ti fa la poesia al contrario.
– E stasera nel verso giusto, non ti preoccupare.
– Statti bbuona, va’…
– ODDIO!
– Perché, come si dice?
– No, le parole vanno anche bene, è la pronuncia che non… prossima volta, dai, sennò perdo il treno. Màstegala, intanto.
– Va ben. Com’è la e di saglienno?
– Aperta. Sagliènno. E toglici un po’ di o alla fine. Ciao!
– Sani!

Di pesi e misure

giovedì, 3 Luglio 2008

– Ah, l’hai provata anche tu, allora, quella cosa della meditazione?
– Sì sì.
– E fammi capi’, per quanto tempo poi?
– Il primo incontro, poi basta.
– Azz’.
– Eh.
– Motivo?
– No, è che… alla fine della sessione di meditazione ho visto che sì, effettivamente mi sentivo davvero più sereno e tranquillo…
– … e quindi?
– E quindi dopo mi sono chiesto: ma a me mi interessa veramente di stare più sereno e tranquillo?
– Eh.
– Ovvio: no.
– Lo sapevo.
– Comunque, insomma, per me non valeva l’impegno di una serata alla settimana, tutto qua. Mi interessa restare sveglio, casomai. Che ci devo fare.
– Atti’, ti ho mai detto che ti voglio bene?
– Svariate decine di volte, negli ultimi vent’anni.
– Eh, ma mo’ un po’ di più.
– Mh, che culo.

Dei nomi della neve

martedì, 17 Giugno 2008

Quando il bel tempo corrisponde alla mia disponibilità, allora amo andare con i miei ricordi per sentieri e strade forestali; osservo, anche, o ascolto, i segnali che la natura comunica con l’evolversi delle stagioni e degli anni. Ma è quando mi accompagno con gli amici o con personaggi della mia terra che il camminare è più assorto e riflessivo. Questi compagni di cammino non sono più fisicamente presenti, il loro corpo è rimasto in luoghi lontani: su montagne, o nella steppa, insepolto; o in cimiteri di paese con una semplice croce, o di città con lapidi e fiori. E’ con loro che mi accompagno e ragiono, ricordando. Qualcuno che non crede, o che crede, può guardare con benevola indulgenza a questo mio modo di esistere. Non me ne importa: ho anch’io molti dubbi ma mi piace, a volte, ignorarli.

(…)

Lassù la montagna è silenziosa e deserta. Lungo la mulattiera che gli austriaci costruirono per giungere nei pressi dell’Ortigara, dove un giorno raccolsi la punta ferrata del Bergstock che è qui sulla libreria, ora non passa più nessuno. La neve che in questi giorni è caduta abbondante ha cancellato i sentieri dei pastori, le aie dei carbonai, le trincee della Grande Guerra, le avventure dei cacciatori. E sotto quella neve vivono i miei ricordi.

[da Sentieri sotto la neve, 1998]

*

Grazie di essere stato, vecio, e di essere stato parola.

Poiché ormai la neve della nostra storia di famiglia ha il tuo nome, Sergente.

Nuove amicizie

martedì, 3 Giugno 2008

Quattro, otto, dieci e dodici anni. Il più grande è magro e saggio, il secondo è un affettuoso ruffiano dalla pelle saracena, il terzo a guardarlo negli occhi sembra di sporgersi su un abisso, il più piccolo da qualche settimana è il cavaliere di Monforte de "La Freccia Nera" e gira con uno spadino di legno tenerissimo, un paio di stivali rossi di gomma ai piedi anche con trenta gradi all’ombra.

Rientrando in casa, a sera, parlano più o meno così:



[Bill Watterson, da The Days Are Just Packed, 1993]

Più li guardo, e più mi chiedo da quale decennio sono venuti fuori.

Preferisco i giorni feriali (ovvero: ansia da strattonamento)

lunedì, 2 Giugno 2008

Ciao, esci?

Oh, ma perché lui non viene giù?

Perché non mangi con noi?

Dove siete stati oggi? Vi abbiamo visto uscire.

Ma non hai caldo?

Ma non hai freddo?

Cos’è quello?

Lo rimetti a posto?

Cosa fai adesso?

Ma tu cosa fai in genere?

No, perché questa cosa dei rifiuti.

Perché prendi la bici?

Dove vai adesso?
[una risposta qualsiasi]
Ah, e come mai?
[oppure: ma è lontano!]

Siediti!

Tanto la musica non vi dà fastidio, no?

E neanche il rumore e il fumo di scarico del motore della macchinina radiocomandata, vero?

Cosa facevi prima di là?

Ma perché sei così curiosa?

Ma perché parli così poco?

Oh, ma tu non fai mai domande, proprio.

(forse perché sono andata in iperventilazione, a un certo punto)

It’s been ten years strong, that’s much too long

martedì, 6 Maggio 2008

Dieci anni.
C’ero anch’io.
Lascia che ricordi
lascia che non scordi
il fango
quel fango
tutto
quel
fango.
E l’odore di marcio
fin dentro la memoria
le jastémme
e gli stivali
che non servivano a niente.
Scavate, ragazzi.
Scavate, perdio.

I can imagine nothing more tedious…

venerdì, 2 Maggio 2008

I need maintenance,
I need patience,
I’m not foolproof,
I’m not waterproof,
I’m not shockproof, bombproof, bulletproof, fireproof, leakproof, childproof, stainproof, pressureproof
.

Ché se uno è una pianta, nient’altro che una pianta
in questo mondo di corpi celesti
prima o poi dovrà chiedere di essere perdonato.

[Marillion, Quartz, 2001]

Sapienza d’altri tempi

martedì, 1 Aprile 2008

Eravamo giovani e terroni, ma avevamo i nostri maestri.