Articoli marcati con tag ‘De Visu’

B33

venerdì, 25 Giugno 2021

C’è vento dopo il temporale di stanotte, e pochi umani in sala d’aspetto. Una luce prepotente, un televisore acceso sui reflussi gastroesofagei morali del mondo di fuori, e intorno voci sommesse che parlano di sonno che non arriva, di mercato, di bambini. Si sente un qualche conduttore di programmi mattutini parlare di miracoli, di mano divina, di essere circondati di amore da lassù, mentre in sala, in egual misura, sopra le mascherine si vedono occhi che si inumidiscono o che roteano dopo un vistoso no della testa.

Ho sonno, ho bisogno di dormire anch’io, signora, stamattina devo fare questa flebo che l’altra volta mi ha allettata per tre giorni e spostato di una tacchetta la soglia di ciò che sembra importante, non so in quale direzione. Star bene. In piedi, in forze anche solo per lavare i piatti, per fare due passi in giardino… oro. Una scintilla quotidiana, adesso, si è accesa a illuminare ogni gesto, in contrasto col buio di quando manca.
Passerà anche questa, lo so, e non mi fa più tanta paura come prima, e pure nel frattempo temo, temo e faccio del mio meglio per arginare la preoccupazione. Avverto anche un grande senso di mancanz… o essere manchevole, forse, verso Lui che mi sta accanto e per il quale dovrei… non lo so cosa dovrei, ma mi sembra di essere sempre in difetto. E’ che questa malattia prolifera effettivamente in tutte le direzioni, si infila anche sotto le lenzuola, e le metastasi che ho nelle ossa me le ritrovo anche nello scheletro stesso della vita a due, a quattro, e fuori.
Un’altra forma di paura, dopo quella strettamente legata alla sopravvivenza: ce la farò a dare una vita quanto più possibile normale a chi condivide con me questo pezzo di strada?

Plot twist

venerdì, 4 Giugno 2021

Cosa farò di questo spazio?
Sono mesi che lo guardo vibrare il suo vuoto, con la vaghezza di un desiderio sempre nello stomaco: tornare, rientrare, ri-lanciare parole qui, dentro, sotto, ché ora il Segno ribolle nello spazio a margine delle attese, delle sale che abito mentre aspetto la prossima visita, il prossimo esame, il prossimo liquido di contrasto.
La malattia è entrata nella mia vita, sì. E’ cancro, carcinoma, metastasi, di tutto un po’. In verità, chissà da quanto tempo c’era e non lo sapevo, la contenevo nel silenzio, eppure. Diciamo che adesso è entrata anche nel linguaggio perché so che esiste, come tipicamente accade all’umana specie in luogo di qualsiasi passaggio di livello logico: non solo ho paura, ma so di provare paura, perché ho dato un nome al pericolo.

Diventerà un diario della malattia, questo spazio?
Tanto non c’è più nessuno qui, mi dico spesso. Mi sento quasi quasi al sicuro, in questo indirizzo che un giorno penso di lasciare ai bimbi per dire loro: mi troverete lì, se vorrete.
E’ anche che ho bisogno di un posto dove versare, insieme alle parole, il terrore e i tremori che mi inseguono ovunque, al di là della soglia del razionale, al di là del fatto che probabilmente c’è una via di guarigione da tutto questo, che sono in ottime mani, che gli esami sono buoni, che fisicamente sto anche bene e sto continuando la mia vita di sempre, anzi forse la sto anche migliorando.
Ne verrò fuori in qualche modo, dico sempre a tutti, è un po’ anche un training autogeno mentre sotto ribolle un magma che non sempre riesco a controllare… così ho scoperto che mi fa bene trovarmi un fiume, un lago, anche solo un canale dall’acqua vivace, sedermi e lasciar andare via nella corrente quello che non riesco a spiegare. I muscoli se ne vanno per fatti loro, a momenti non so più se sto singhiozzando o vomitando, ma immancabile arriva poi il momento in cui sento qualcosa che si spezza, e il fracasso di frantumi grossi mi sveglia d’improvviso e mi ritrovo la faccia gonfia, gli arti sfiniti e le spalle più leggere.