Cheating the polygraph

Lying through my teeth again
I’ve been bad again, black lies
skirting round the truth again
to escape the look in your eyes.

*

Sei un’ombra, un grumo corporeo che pasteggia a luce e chiarezza con l’avidità di un inghiottitoio carsico. Ti ho sognata, un giorno, che davanti a domande che chiedevano verità ti rattrappivi in silenzio, un interrogativo alla volta, fino alla forma di una treenne con i codini che infine si scioglieva in lacrime, testarda, asinina, davanti a persone che ti chiedevano “ma cosa, cosa VUOI? Cosa vuoi da noi, cosa vuoi da questo posto, da questo asilo, da questa gente?”. Ma ormai eri altrove, al sicuro: con sguardo vuoto e lacrime di fuoco avevi vinto, avevi tre anni e nessuna consapevolezza adulta poteva più toccarti. Mi sono svegliata in singhiozzi, col respiro spezzato e una rabbia, una rabbia impotente, mista però a un sollievo, un sollievo… ah, ma allora eri questo, soltanto questo: sotto la scorza del tuo bellicoso silenzio c’era (solo?) una bambina, testarda e codarda, che ha imparato ad offendere per non rimanere sopraffatta, con i pugni stretti e le nocche livide, le labbra serrate e gli occhi che non sanno reggere quelli dell’altro da sé, completamente chiusa al mondo di fuori, al resto, alle altre vite che pure esistono, tuo malgrado, intorno a te e premono, premono perché tu non inondi il mondo con l’inchiostro del tuo buio, del tuo incontenibile bisogno di distorcere il vero per assumerne in controllo. Ma non puoi farci niente. Loro esistono, che tu lo voglia o meno, e vivono le loro vite, e nel modo che loro hanno trovato per viverle, che tu lo approvi o meno. E con questo la tua ombra deve fare i conti, adesso, come io devo fare i conti con te e buttarti fuori, fuori da me e fuori dalle mie notti, dove ti insinui ad ogni strappo del sonno nonostante tu non sia una minaccia reale ma solo l’immagine di quel grumo, nero di risentimento, sospeso nella tua assenza di suono, di voce, anche della più flebile delle vibrazioni che pure sono proprie della vita stessa.

Vattene, ti dico.
E te ne andrai.
Oh, se te ne andrai.

Basterà guardarti negli occhi. Come stamattina: biascicando suoni vuoti e senza Segno, facendo nervosamente no con le manine come il bimbo che non riesce a sostenere il fatto stesso di essere contraddetto, te ne andrai sbattendo il portone. E così, dietro l’onda d’urto del pesante metallo che pensavi ti avrebbe protetto, ti dissolverai. Bam.

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