Always in my thoughts you are.

I got your voice on tape, I got your spirit in a photograph
Always out of reach you are.

*

Non sento più il suono dei pensieri.
Non sento oltre i trenta secondi, le mezz’ore, i dieci minuti. Solo un’eco ogni tanto, da distanza minuscola mi sollecita, o solletica, tipo da sotto i piedi, ecco, da sotto terra viene un tremore come di viscere, una distorsione di un attimo che poi passa, poi torna, mi tocca, pizzica, poi no, invece è la ferita dell’operazione, ah vabbe’, mi credevo. Così mi distraggo, guardo da un’altra parte mentre qualcuno chiede ma che c’è, e allora abbozzo oppure mi imbozzolo, non lo so. Magari dopo l’abbozzo clicco su Salva, che poi con la coda dell’occhio leggo sempre Saliva, e allora non si sa più se la bozza andava su o se c’ha un filo di bava alla bocca, più probabilmente finisce che sotto sotto c’è un bozzolo insalivato come quello della spumaria che si contorce nell’attesa di diventare conforme alla vita adulta, ‘sto parente brutto e piccolo della cicala che manco mezzo suono fa, ma intanto se deve fare le uova sputa nel silenzio delle piante e della terra, se ne frega e permane mentre queste vibrazioni così brevi si infilano ovunque chiamando, pungendo, sfruculiando ‘a mazzarella ‘e San Giuseppe finché i piedi non alzano i tacchi, e al passo dopo il suono è già passato, appena intravisto, nemmeno cominciato che già se n’è fujuto.
Però te lo devi appuntare, mi dicono sempre più spesso gli intestini, perché prima o dopo la torni a sentire, questa puntura, e magari a metterle insieme a un certo punto finisce che se le unisci con una linea, una riga, qualcosa, può essere pure che dopo vedi qualcosa, e che dopo che l’hai vista capisci cos’era quel suono mai del tutto ascoltato in mezzo a tutti quei minuti, quei segmenti appesi in giro per il tempo non-finito sul quale ti aggiri da un po’ di ere a questa parte.

Mi sono estratta dalla rete, tipo un paio di vite fa, e lì ho smesso con sollievo di esistere. Il mio nome non c’è più nei legami, nelle foto, nei dintorni di nessuno, e nel frattempo sono andata incontro al rinnovamento cellulare con un sorriso che nella vita credevo non mi sarebbe mai stato concesso di poter avere sulla faccia, quello dell’idiota che non conosce più l’idioma, e così sono cambiata, sradicata dalle mie stesse fibre, e solo la memoria, la storia dentro il cranio a tenere insieme i microrganismi di questo essere nel quale abito, almeno fino al concludersi del prossimo ciclo di svecchiamento e rigenerazione.
Non sento più il suono dei pensieri, in effetti, perché i neuroni che me li tenevano in piedi erano altri. Quelli di ora hanno vissuto in un altro tempo, in un altro mondo e in un altro modo. Insomma, devo ricominciare da capo. O da una bozza salvata, sputata da qualche parte tra le molecole di un hard disk a stato solido?

Boh.

Intanto parla più forte, per piacere, ché non ti sento, e se non sento te non mi sento più nemmeno io.

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