Gravità (chiéna ‘e vacanterìa).

Love it or leave it, she with the deadly bite,
quick is the blue tongue, forked as a lightning strike.
Shining with brightness, always on surveillance
the eyes they never close, emblem of vigilance.
Oh, no, no, no.

Said don’t tread on me.

*

Perché la parola scritta pesa così tanto? Le stesse, identiche parole quanto diversamente lasciano il segno a seconda che si scelga di dirle o scriverle?

– Be’, è il motivo per cui anch’io a un certo punto ho smesso di leggere quello che scrivevi.
– Perché?
– Perché ci stavo male. Perché quando uno che ti conosce ti legge, si aspetta un atto comunicativo. Invece per te non è così… l’ho capito col tempo. Scrivere per te è un modo di pensare, di… tessere i pensieri. Quello che metti lì sul blog, paradossalmente, può essere condiviso solo con chi passa di là per caso e non ti conosce, non con le persone con cui condividi o hai condiviso la tua vita.
– Sì, è vero. Ultimamente sto incappando un po’ troppo spesso in questa specie di tranello, e spiegarlo mi è quasi impossibile…
– Già, chi ti sta intorno dovrebbe sapere quanto poco importa il motivo per cui scrivi lì. Per gli altri, intendo. Quelle non sono cose che devi dire a qualcuno di specifico, è più una specie di lavorìo che fai su te stessa…
– Sì. E’ come sognare, ma mentre sono sveglia. Le forme sono quelle della mia vita ma nel tempo si trasformano, anche profondamente, e il significato che prendono a volte non lo conosco nemmeno io. Si cristallizzano, diventano simboli, si rimescolano e diventano qualcosa d’altro.
– E poi se ti capita di rivolgerti a qualcuno che ti sta intorno, in questa specie di forma di scrittura, succedono i casini. Perché loro si aspettano che lì ci sia un messaggio, come quando parlate nel quotidiano… ma tu quando sogni e insieme fai segni perdi ogni forma di tatto, scrivi per te, procedi per immagini, usi pronomi di seconda persona per quelli di prima. E’ un casino!
– Eh, lo so…
– E poi non c’è messaggio.
– No, be’, non è proprio che non c’è messaggio. E’ solo che il messaggio è un filo di pensieri che non voglio perdere, e per certi versi si può anche condividerlo. Però sta un piano che non è quello del quotidiano. E’ qualche altra cosa che non so nemmeno io. O meglio, io ce l’ho ben chiaro qui, solo che non lo so dire.
– E’ per questo che in quel posto solo con chi capita lì per caso puoi alle volte intenderti.
– E sì, perché contesti e dettagli e messaggi di un certo tipo sono necessari solo con le persone con cui hai effettivamente un rapporto. Ma il cammino inverso è pure possibile… a volte gli incontri casuali che quel filo di pensieri che non voglio perdere mi ha portato sono stati incredibili, e nel tempo, poi… vabbe’, ok, l’ho detto già un miliardo di volte.
– Eh, infatti. Ma per esempio, no?, adesso come lo spiegheresti che a questo punto io non sono già più il tu con cui stavi parlando all’inizio di questa chiacchierata, e che solo due frasi di tutto quello che ora ti sta venendo fuori sono state realmente dette da qualcuno?
– Uhm. Non lo spiegherei, come ho sempre non fatto. Oppure puntualizzerei che questa non è una chiacchierata, presumo. Boh.
– E mettici anche che questo non è nemmeno un diario.
– Anche.
– Però quello che dici a volte pesa.
– E lo so. Ma è perché c’è uno strato della mia voce che è soltanto scritto, e su questo non posso farci niente. L’altro problema è che mi viene di parlare soltanto di immagini che si svuotano del loro senso originario, e che mescolandosi ad altre diventano qualcosa che prima non c’era.
– Quindi questo cos’è?
– Sta scritto là sopra: è un posto densamente vuoto.
– Ma capiente.
– Pure troppo.
– E vivo.
– Purtroppo. Per me.

*

So be it
Settle the score
Touch me again for the words that you’ll hear evermore.

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