Sessanta all’ora? Minuti. Giorni. Anni. Fa.

– … really.
– No, I don't.
– But yes, you do! You talk about it like it was, I don't know… a lost planet. You do really sound like the Doctor telling stories 'bout Gallifrey.

*

E niente, poi succedono due cose insignificanti. Tipo: questo spilungone con gli occhi blu e le orecchie decisamente fuori scala, che parla di sé in terza persona e nella sua lingua madre, che in sogno viene a farti quest'appunto… e che, a ottocentoepassa chilometri dal punto del pozzo-paese in cui ora vivi, un vecchio scooter color mulignana viene dato via per pochi soldi, per fare spazio in garage. Era lì a prendere polvere da anni, ormai. Da quando sei andata via qui non lo usava più nessuno. Lì per lì hai detto "avete fatto benissimo"… poi un paio di giorni dopo ti torna in mente e non riesci a smettere di pensarci per un po'.

Però, pensi ora, proprio quel mezzo, proprio quel motorino, in una fetta di mondo in cui la parola scooter era arrivata solo a macchia di leopardo e anzi, in un tempo di quell'angolo di mondo in cui la parola scooter non era ancora proprio arrivata. No, perché ecco, all'improvviso è tornato tutto, lentamente, come una marea, ma inarrestabile. Una madeleine gigantesca, che stava nascosta dentro una parola, e un'immagine: minchia, lo Zip! Che qualcuno chiamava 'a carcioffola. Le due ruote che sono state il tuo primo vero mezzo di locomozione in quel recesso del pozzo in cui la bici in strada no, proprio no, e che sono state la tua prima vera indipendenza e libertà. Dal '95 a… quando sarà stata l'ultima volta? Un anno fa? Due, non di più. Dal '95 a due anni fa… fanno quattordici anni. Quasi metà della tua esistenza. E così, tutto è tornato indietro: la scuola, i mille modi che vi inventavate per bloccargli entrambe le ruote con una sola catena – perché se ve lo rubavano non se ne poteva mica comprare un altro – e la proprietà condivisa con gli amici di sempre. Perché non era solo tuo, ma anche di tuo fratello, e di K., e di tutti gli amici di strada di quegli anni che se non passavi a prenderli tu non si usciva mica. E no. Era un bene comune. E poi le prime volte dal benzinaio, e il sentirsi un po' grandi nel dire "il pieno, grazie", che era cinquemila lire di super e ci si andava avanti tutta la settimana, e gli interminabili giri d'estate su quel sellino che era una tortura cinese andarci in due ma col casco ancora si poteva, e quindi via, senza volerlo nemmeno fare apposta, a scoprire quello che di bello vi era rimasto tra una cava e l'altra, su quelle colline che erano il mondo intero, a cercare le terrazze più belle a San Leucio, a Puccianiello o sulla panoramica per Casertavecchia, quei punti spettacolari da cui guardare la città fino a Napoli e fino al mare, chiedendosi con Maria che ne sarà di noi, e quella volta con Ketty fino su a Durazzano, da incoscienti, senza dire niente ai genitori, con addosso il brivido della fuga e dell'avventura anche se erano solo quindici chilometri, sfidando tutti i divieti e le proibizioni parentali solo per andarvene a prendere ombra e albicocche in un giardino antico e segreto. E poi i primi amori che volavano a sessanta all'ora come se avessero avuto le ali, e le litigate colla buonanima del portiere del parco della zia perché te lo lasciassero tenere dentro, e le corse al giardino del nonno per lasciarlo al sicuro e poi correre di volata alla stazione a prendere il treno per andare all'università, e i lunghi abbracci degli amici, perché il solo modo per viaggiare in due sul quel coso era diventare l'uno lo zainetto dell'altro, e i primi brividi che ti entravano fin dentro la schiena quando per caso potevi dare un passaggio al ragazzo che ti piaceva, con tutti i peli che ti si drizzavano sulla pelle, e le fughe sulla Collina, o ai Ponti della Valle, e i colori del tufo e gli odori delle stagioni, delle ginestre, delle cave e dell'origano… e poi anche lui, l'amore della vita, quando lo andavi a prendere alla Reggia e ve ne andavate in giro con lui ancora in divisa. Ma quanta, quanta vita c'era in quella profondità del pozzo-paese? E perché ora, improvvisamente, che un altro pezzetto di quella vita se ne va – solo un motorino – ti appaiono come racconti della vita di qualcun altro e insieme indiscutibilmente vicini, ancora incollati al nocciolo stesso di tutto quello che sei oggi? E dunque?

E niente. E' che oggi sono qui, in questo punto del pozzo-paese così lontano, diverso eppure un po' uguale a quello in cui sono nata e cresciuta. Sono qui, dopo tutti quegli anni trascorsi in sella a quel motorino sognando di andare via, e c'è questo strano senso. Di scollamento. E oggi c'è questo piccolo essere umano tutto nuovo, venuto da me e da quel ragazzo che allora viaggiava con me su quel sellino, e… cosa saprà, lei, di tutto questo? A quel mondo farà probabilmente visita solo di tanto in tanto, e i luoghi che saranno cari alla sua memoria di adulta come quelli lo sono per me apparterranno probabilmente a quest'altro lato della mia traversata del pozzo-paese. Ma come sarà? Lei non saprà di tufo e ginestre, né dei luoghi che ho vissuto e amato nonostante tutto, con forze e intestino, perché così è laggiù, si ama e si odia ogni cosa senza sconti, perché la terra, la madre da cui si nasce non si può scegliere, e non a tutti va di culo, e allora si vive tutto, tutto e senza mezzi termini. Questa piccola non saprà né vedrà granché dell'adolescenza dolorosa e straordinaria della sua mamma, e chissà se io saprò mai portarle testimonianza di quel mondo così vivo e vivido dentro di me, pieno di odori e musica buona, e voci e presenze che non ci sono più, pur vivendo ancora nei recessi più remoti del mio linguaggio.
Cosa sarà di tutto questo, nel futuro che verrà? E' davvero successo, tutto quello che è successo? Abbiamo davvero volato a sessanta all'ora nel tempo e nello spazio, sognando un altrove che ci stesse meno stretto, e poi siamo davvero andati via, uno dopo l'altro, mentre il mondo che abbiamo così intensamente vissuto cambiava, andava avanti lasciando frettolosamente il posto ad altro, e di ciò che ci apparteneva non è rimasto granché fuori, ma solo dentro, nelle gambe con le quali abbiamo aizàto in cuòllo? Sono davvero accaduti la scuola, gli amori, i libri, le morti, le voci e quel paesaggio, proprio quello? E se sì, come faremo a mostrare ai nostri figli il nostro mondo, che è anche il loro perché da quello siamo venuti noi e quelli prima di noi? Come lo racconterò, lontano com'è nel tempo e nello spazio, quel mondo rumoroso e colorato che in qualche modo vorrei farle conoscere, se non altro per dirle un domani ecco, esiste una cosa che si chiama scelta, e perché e percome. Ma cosa le racconterò? Questa è la scuola dove tua mamma ha studiato, questo è l'acquedotto dove ha trascorso intere estati ad ascoltare le cave brillare, le cave da cui è venuta la pietra che è servita per fare il cemento che ha fatto andare il mondo avanti, e dal pizzo di quel colle guardava allargarsi i buchi delle discariche, e arrivare i gabbiani, pensando che forse non era ancora il caso di andarsene, che bisognava prendersi il tempo di capire e provare a fare qualcosa, prima, e da lì la mamma e zia Maria e zia Emma discorrevano dell'amore, la vita e le vacche senza arrivare mai a una ceppa di niente, e lì facevano i calzoni buonissimi, e sotto quel portone la tua mamma ha dato il primo bacio, e lassù, all'altro estremo della cinta di colline, verso Capua, lassù, sulla cima dove c'è quel palo che arrugginisce, la tua mamma ha incontrato per la prima volta il suo futuro e solo allora ha capito che era arrivato il momento di togliere le tende, e poi lì è cresciuta con suo nonno, il tuo bisnonno, che era una persona spettacolare anche se parlava pochissimo, e se n'è andato troppo presto ma per fortuna ha fatto appena in tempo a insegnare alla mamma certe cose che non avrebbe potuto imparare da nessun altro al mondo.
E tutto questo non c'è più. Qualcosa, andando via, s'è rotto, s'è interrotto e non potrà mai più essere riparato.

Vuoi tornare –  a volte ti domandi nei momenti in cui questo strappo nella tela del tempo e dello spazio si fa più doloroso. Forse tornare ti aiuterebbe a sanare questa specie di ferita non condivisibile di non-condivisione che ti porti dietro, che ti porti dentro? E no. Perché il mondo è andato avanti prima di tutto per te, cancellando molti dei punti per te più importanti di quel paesaggio che era memoria, continuità e… casa. Tornando a casa non troveresti – come non la trovi già da tempo – quella che hai chiamato casa, né le presenze che l'hanno resa tale. Tutto di quel paesaggio è cambiato, e invecchiato, certo, ma ogni anno sembra che a invecchiare sia il volto di un estraneo, un estraneo sempre più straniato, straniante e stranito. Un estraneo diverso, ogni anno che passa, mentre le città crescono e il cemento continua a colare, a far andare il mondo avanti.

Alla fine mi è semplicemente dispiaciuto che sia andata via, 'a carcioffola, senza averle nemmeno potuto dire ciao. Fare un ultimo giro a sessanta all'ora sulle colline. Mi rendo conto solo ora che, dopo aver passato mezza esistenza a cercare di tagliarla fuori dalle foto di tutti i posti in cui mi ha portato, ora vorrei averne almeno un'immagine decente. E invece no: una delle uniche due che mi ritrovo è per sbaglio, in una delle tante stazioni impresenziate che mi ha aiutato a scovare. Come anche l'altra, capitata per caso con Emma accanto quella volta che eravamo salite a San Leucio per fare le foto per la ricerca scolastica. Insomma, qualcosa. Almeno per dirle grazie. Anche se, dopo tutto.
 

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2 Commenti a “Sessanta all’ora? Minuti. Giorni. Anni. Fa.”

  1. macca ha detto:

    Cosa resterà a N.?
    Resterà la capacità di sua madre di rendere vivi i ricordi e le sensazioni. Di mondi, in realtà ce ne sono 7 miliardi: uno per ogni Cristo che sta su questa terra e sono compenterabili, ma non scambiabili.
    Resterà la tua terra, quella, e questo pozzo-paese (mò, però, me la spieghi questa) è un altro pezzettino di cammino.
    Adesso che c'è Lei e il Comandante un nuovo cammino, ma fatto sempre da te e dal tuo cuore, dai tuoi ricordi, da quei posti visti e vissuti anche a sessanta all'ora.
    Tutto riluce, lo stesso.
    Dan

  2. keroppa ha detto:

    🙂

    Speriamo, speriamo. Conservare per lei anche solo una scintilla di quella luce mi basterebbe. Vedremo.

    Intanto grazie, Dan.

    [Il pozzo-paese è solo un sogno che ho fatto tanto tempo fa, di cui ho tenuto traccia qui]

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