Le vigne a braccia aperte, il cielo da neve misto alla lana arancione del sole dell'alba, e i lampioni ancora accesi nel chiarore del primo mattino come stelle di paglia che contornano rotonde e incroci. Nei sogni si intrecciano dita grosse di meccanici con unghie e rughe di metallo, e dita sottili di musica innervate di nylon. A turno stringono, trattengono, afferrano, carezzano da dentro o battono da fuori. Il fondo dell'inverno ha di questi segreti invisibili, che stanno nel fruscio dei polpastrelli sulle corde di una chitarra lontana milioni di anni luce che suona di quei momenti in cui le vibrazioni della carne sono così deliziose da fare male, come il passaggio di una piuma affilata, lama e ala, un attimo di quelli che restano piantati nei nervi fino a farli impazzire fino all'ultima fibra. L'inverno profondo ha i suoi segreti invisibili che si possono anche dire ma mai mostrare, momenti di ghiaccio che offendono i sensi, abbracci senza memoria, gelate che tagliano le ginocchia, duri e senza appello come la gelosia dei bambini, come il sussulto dei muscoli ad ogni più piccolo rumore della nuova casa di cui ancora non hai imparato a riconoscere la voce. Il segreto invisibile dell'inverno è il silenzio che ovatta di botto le orecchie quando la ventola del processore smette di girare, il fruscio del treno che passa cinquecento metri più in là, quella specie di saluto senza voce che si dà con lo sguardo a quel che ci sta intorno prima di andare a dormire. I segreti invisibili dell'inverno sono interstizi, intercapedini che tengono in piedi tutto, onnipresenti al punto che nessuno più li distingue dallo sfondo, come i pronomi. I segreti dell'inverno sono i legami e il loro mutare muto, innocuo e totale.
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