Fermata non richiesta: ∞

La mensa del dopolavoro ferroviario manda, dalle cucine, odore di latrina, ferro, frittura di pesce bruciata. Del resto è venerdì. I giubbotti nel magazzino, quelli arancioni con le bande catarifrangenti, chiazzati di grasso dai polsini in su, intorno alla cintura e sui cappucci, sono appesi ai ganci in una lunga fila sulla parete, saranno una quindicina. Dalla porta si intravede in un angolo una lavatrice, il cui oblò spalancato attende un altro mucchio di giubbotti sudici, accatastati sulla sedia lì accanto. In fondo al primo binario, sul limite del confine della zona passeggeri, oltre la linea gialla che dice che la stazione per i comuni mortali termina in quel punto, c’è una distesa di fiori di tiglio, di future more e aria di stazione. Com’era? Acqua stantìa, ferro, polvere. Sì, era così.

Ecco: la stazione di Pordenone ci mette, di suo, i tigli. Aria di stazione e profumo di tigli da giugno ad agosto. Verso settembre, invece, sono i funghi dei Giardini Cattaneo. A gennaio-febbraio è, lo ricordo bene, freddo, nebbia e caffè.

*
Mentre annusiamo l’aria facendo smorfie, finalmente annunciano il nostro treno.

– E poi? Cosa avete fatto dopo?
– Niente. Abbiamo continuato a camminare per tutta l’estate.
– Ma perché, poi?
– All’inizio non lo capivo nemmeno io. Capitavo questi posti in cui non ero mai stata prima, eppure mi ci muovevo dentro come se ci fossi nata e cresciuta. Come succede a volte nei sogni, hai presente.
– Hm, sì.
– E di tutte le cose che non capivo, quella che capivo di meno era come mai non riuscissi a starne lontana. C’erano dei giorni in cui sentivo una specie di… urgenza. Dovevo mettermi a cercare, e poi andare, e trovare. Quando ci riuscivo, mi pareva di aver portato a compimento qualcosa. Ogni volta che potevo aggiungere un punto sulla mappa ero soddisfatta, sorridevo per giorni, contenta come una bambina.
– Be’, sì, lo so. Eri contagiosa. E a dire il vero lo sei ancora.
– Quando succede. Sì, e forse esagero.
– Non lo so, ma credo che in quei momenti ti riesca di far entusiasmare persone alle quali non verrebbe mai in mente di dare un qualsiasi peso a stazioni e ferrovie. Abbandonate, soprattutto.
– Non ci posso fare niente. Mi viene così, e sul momento non mi rendo neanche tanto conto.
– E’ curioso, in effetti, per essere una cosa di cui non conosci nemmeno le ragioni.
– Be’, non è proprio così.
– Cioè.
– E’ successo che poi a un certo punto ho capito.
– Cosa.
– Che non erano sogni, semplicemente.
– Be’, ma se non erano sogni…
– … esatto. Erano ricordi.
– Memoria.
– Già.
– E dunque? Capirci qualcosa un più ti avrà calmata un po’, no?
– Ma quann’ maje.
– …
– Che ti devo dire? Da lì in avanti, è stato ancora peggio.

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