Voce del verbo: grida(mi), apri(mi), cambia(mi)

In your eyes, in your mind, in your mind
Clearer than a photograph
No passing of time
Ever could fade
You and I
Shimmering ghostly
Like a wild garden from another life
.

*

(E così, dopo tutti questi anni sei tornato. Mastico queste parole crude, semplici e vive ad alta voce mentre lentamente, lenta, lenta scivolo verso il mare senza riuscire a smettere di averti dietro, nel cervelletto. Mh. Mi ha preso questa specie d’urgenza d’aria e d’acqua appena sveglia, stamattina, dopo una notte imbevuta di sogni e segni, di conversazioni mai avvenute, di abbracci lunghi come anni e poi dimenticati. Ma devo andare verso il mare ora e allora scivolo lenta, lenta, lenta, lenta come un istinto antico, cantando canzoni che allora non conoscevo ma che oggi mi danno la misura della memoria. Nemmeno avessi bisogno del mare per rivederti, nemmeno avessi bisogno di binari per trovare il posto giusto. Perché c’è questo mare che sta alla fine di un’altra ferrovia abbandonata e qui vengo a cercarti, a rivederti quella sera, a rivedere quelle sere che non hanno mai smesso di accadere perché non c’è solo quella che riguarda te, di sera, ma anche quell’altra – eterna – da cui mi strappasti con poche parole violente, volente ma soprattutto nolente. Poche parole che poi sono tutto quello che mi rimane di quelle ore passate in punti diversi e tempi diversi della lunga linea dove la crosta e l’acqua del mondo si toccano. Sere sepolte, vecchie, invecchiate ma come cristalli, immagini che con gli anni sono diventate repertorio dei sogni: contenitori di altri sensi sovrapposti al tuo volto e a quell’altro, di quell’altro tempo, che infatti è tornato a visitare le mie notti ora che durante il giorno tu ti mostri, lucente, ancora pungente e spietato come le parole con cui mi hai riportato alla luce che in qualche modo ti appartiene. Allora era un altro tempo che veniva dopo un anno, un’era di gestazione, di sonno senza sogni e segni senza senso. Allora è venuto quell’attimo in forma di parole, un momento in cui qualcosa viene e qualcosa va. Così va il tempo, nonostante tutte le grandi frasi e le grandi COSE cui si suole affidare il senso della propria esistenza a questo mondo. Grandi cose di stocazzo, che soppiantano interi strati di reale fatti di quella bellezza rozza che era propria della nostra fetta di mondo. Alla fine è un’immagine piccola e densissima ciò che ne resta e quella, pur svuotata dalla risacca dello scorrere degli anni, finisce con l’essere più importante di quello che realmente è stato. In questo sta la densità di quelle notti sotto le stelle, di fiamme e di parole, stelle implose, cose accadute alle quali ho pensato sempre meno fino a che non si sono sedimentate ad un livello della coscienza accessibile solo a patto di varcare delle soglie. Ma quando apro quelle porte quello che sento, che ascolto, è un’esplosione di memoria fatta a strati di senso. Dei sensi: persino il tuo odore ho ancora nel naso, e so che se mai dovessi rivederti lo ritroverei intatto, anche dopo dieci anni, e quelle notti a cui dunque oggi ripenso molto poco sono pure avvenimenti cruciali, punti di congiunzione di importanza massima nel cammino che mi ha portato dalla soglia del nulla sulla quale restavo ostinata, immobile, invisibile e muta, al mondo dei vivi. Fu un niente. Tu non lo hai mai saputo ma la tua voce nei miei sogni ancora si sovrappone alla sua, di quell’altro volto di quell’altro tempo e di quell’altro mare, perché le parole con le quali mi avete uccisa e fatta rinascere sono state le stesse. Lui disse, lieve: "chiudi gli occhi", portandosi via la luce. Tu, invece, poiché la nascita è il più violento di qualsiasi altro atto umano, hai gridato. "Apri gli occhi". "No…". "APRILI!". Nella pretenziosità dei miei vent’anni mi sembrò che per un istante che si fosse fermato persino il mare. Poi un piccolo schianto della coscienza, e un calore di cui non sapevo nulla che mi si posò addosso come un ferro arroventato, cambiando il tempo con l’irrimediabilità di una cicatrice che arriva fino al muscolo della carne, delle cose, di ogni cosa. Cambiandone la forma una volta per tutte.)

Lì, in quel punto esatto della storia, tra parentesi tonde, cominciano le Voci. Lì, appena rinata e vuota come una cassa di risonanza, hanno cominciato a farsi sentire. Ma non lo sapevo, non lo sapevo. Cosa sapevo io, allora? Niente. Un po’ come adesso, ma in un altro modo e in un altro mondo. Era mare, era tempo di paura cieca, a occhi chiusi, fino a quel momento. Fino a quel grido, fino a quello schianto dell’aria nei polmoni, all’uscita della galleria.

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