Quanti erano arrivati sono ripartiti
Senza lasciare indirizzo
Ma la terra piangeva, sapendo di essere l’eternità.
[E. Glissant, 1985]
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Napoli sotto la pioggia è nera, stretta, sporca. Tra te e questo posto non è mai corso buon sangue ma ormai ti godi i momenti che passi qui, man mano che si fanno più radi nel tempo, camminando piano, comprando qualche cretinata da cinquanta centesimi su una bancarella, fermandoti sotto i grandi portali dei vicoli che scendono – pendono – al Pendino, sotto ‘sti enormi soffitti bui in cui le gocce di pioggia cascano rimbombando, metalliche, dalle grondaie. Dentro un cornetto rosso di plastica, il sentore amaro dell’aria di un’intera giornata di pioggia. Anche di grigi sa essere ricca, questa città a strati, che in giornate così va goduta a pezzi di pochi metri, contando le vàsole che scorrono sotto i piedi, le facce sotto gli ombrelli, le braccia incrociate nelle pescherie d’o Priatòrio, i paia di scarpe bagnate in metropolitana.
Ti guardi intorno, ascolti, ci pensi ancora: da quest’altro punto del pozzo-paese l’innocenza di quegli sguardi altri pare un’incredibile, impossibile, quasi anacronistica ingenuità. Come si chiedeva quello lì: ma loro non hanno sbagliato niente, o gli è andata di culo? Non tanto per la scarsa percezione della gravità di quello che succede, ma per quella gioventù così scandalizzata di fronte a tanto scandalo, e convinta del fatto che fra voi e la risoluzione del problema ci sia poco, molto poco. Che in teoria sarebbe anche vero, poi, ma sarebbe una risoluzione ben diversa da quella auspicata da loro. E appunto quello è il punto: la profonda differenza tra teoria e pratica che qui è chiara a tutti mentre lì no. Mestre e Bassano del Grappa erano davvero, ma davvero convinte che andare prendere a casa il primo nome in cima alla lista dei responsabili e portarlo al linciaggio potrebbe servire a qualcosa. Ma tu te le ricordi, le voci che si rincorrevano il giorno che la moglie di quello lì era finita agli arresti domiciliari, per esempio: chi diceva "ah, vabbuo’", "embè?", e chi "tanto non succederà niente, non ha pagato mai nessuno pe’ ccose pure peggio ‘e chesta, mo’ staje a vede’ che pagano questi? Ma a chi vogliono pigliare in giro?". Ecco: non succederà niente anche stavolta. E allora non si capisce: com’è che altrove c’è ancora qualcuno che pensa si possa fare qualcosa e qui no, anche se l’altrove da cui vengono quelle voci innocenti è al terzo posto nel pozzo-paese per reati contro l’ambiente? Perché, perché qui a te viene di pensare che qualcosa, se qualcosa potrà mai cambiare, cambierà solo con una catastrofe, e che la catastrofe è quella che abbiamo già ora sotto gli occhi e che si può ancora far finta di ignorare solo perché si è messa in moto coi tempi della terra che non sono quelli dell’uomo, che è così cieco che quel che va anche solo di poco più lento di lui non riesce nemmeno a vederlo?
Perché loro pensano che se prendi il primo responsabile della lista hai concluso qualcosa, mentre tu sai che appena togli da lì quel nome ne comparirà semplicemente un altro, e un altro, e un altro ancora?
Passano le facce, passano le fermate. Non vuoi pensare così, non hai mai voluto pensare così, e invece.
Dante
Museo
Materdei
Salvator Rosa
Quattro Giornate
Vanvitelli
Medaglie d’oro
Montedonzelli
Rione Alto
Policlinico
Colli Aminei
Frullone
Chiaiano.
Sei stanchissima. Dopo tutti questi anni ancora non hai capito cosa ti ha fatto di male, questa città che non ami e che pure ti spinge a camminarla piano, quando ci torni, come un incantesimo potente che ti prenda ogni volta occhi e piedi. Ancora non hai capito cosa ti ha fatto e ancora hai la forza di dirle, uscendo dalla metro: ti odio.