Fermata non richiesta (6/?)

Venticinque agosto, domenica. Su queste strade dopo mezzogiorno il sole sembra inghiottire ogni cosa, ridurre tutto quel che non si muove con il vento allo stato di ombra, di ricordo. Anche noi, che ce ne andiamo in giro in pantaloncini e canottiera come due pazzi in mezzo a questo mare d’erba che frigge, rabdomanti – lui, più che altro, ché io gli sto soltanto dietro – di stazioni e di parole sotto le quali, appunto, vive il ricordo di noi stessi. Qui, adesso, in questa estate stranissima siamo il ricordo della nostra vita che è stata e che continua mutando forma e riversandosi in altre immagini, altre parole che verranno. Quello che cerchiamo, ombre nel sole, sono parole come: passeggiata, giardino, pomodori, mais, galline, chiave, binari, stazione, bacònca, uva, Ciao (nel senso della Piaggio), pesca, bicicletta, marmotta, diabete, mele, Settimana Enigmistica, treno, Cassino, miele, ciambelle, ricotta, pazienza, grasso (nel senso dei motori), Reggia, giornalino, fiori, violette, rose, pozzo, edera, rondini, coma.

E’ una mappa generosa, questa. Io guido, lui la tiene aperta sul cruscotto e segue con l’indice la linea della ferrovia lungo la quale ho segnato le stazioni con il pennarello. Ci sarebbe da capire come mai su una cartina stradale del ’96 ci siano segnate stazioni dismesse da venti-trent’anni, ma visto che ci è utile, e molto, sono altre le domande che ci ritroviamo a farle.
Intanto però la fermata successiva è facile, si trova subito: portando il nome di San Massimo, ce la ritroviamo esattamente dove immaginavamo, cioè sulla statale lungo la quale corre la ferrovia, in corrispondenza del bivio dove c’è la strada che sale al paese. Non c’è anima viva in giro, lasciamo la macchina all’ombra di un fico enorme che dal giardino di una pompa di benzina si protende sull’asfalto e attraversiamo di corsa. Perché di corsa poi, se la strada, lunghissima e dritta, è deserta? Chissà.

La stazione dà le spalle alla statale, se non fosse per il rosso della sua divisa anche questa sembrerebbe solo solo una vecchia, grande casa abbandonata. C’è un cancello di ferro dal quale si vedono il marciapiede e i binari. Ci guardiamo intorno come due bimbi che stanno per fare una marachella, notiamo che dall’altra parte della strada il benzinaio ci ha visti e ci sta fissando. Probabilmente si chiedono cosa diavolo…
Faccio un cenno di saluto e faccio vedere la macchina fotografica, e dall’altra parte arriva un "ah, vabbuono,  shtàteve accorti però che ‘u treno passa ancora, neh!".
Passiamo il cancello e qui, forse per l’estrema vicinanza alla statale, troviamo un luogo dove non è proprio bello metter piede. La stazione è brutta, sporca, non solo abbandonata, ma proprio negletta e vandalizzata. Qualcuno ci viene, qui, eccome, e si comporta da bestia. Ci restiamo poco e senza troppo entusiasmo. Come l’altra ha tutte le porte murate tranne una e, mentre io sono sul marciapiede ad aspettare il treno che si sente arrivare, non faccio in tempo a voltarmi a guardare la mattonella dell’altitudine che quando lo cerco un secondo dopo lui non c’è più: ha trovato la porta aperta ed è entrato a sbirciare, mi ci gioco la sottana.

E infatti è lì: mi mostra, meravigliato e tutto contento, quel che resta del pannello dei contatti di un posto telefonico. "Fai una foto", mi fa, "così poi ti spiego come funziona. Intanto da qui è meglio che ce ne andiamo". In effetti.
Sgattaioliamo via sotto il sole sempre più caldo. Sono le due.

Mi viene un dubbio:

– Proseguiamo o…?
– Dipende. Che c’è dopo?
– Bojano.
– Sì, ma quella è in funzione.
– Ok, salta Bojano. Dopo?
– San Polo Matese. Direi che possiamo arrivare fin lì, per oggi.
– Aggiudicata.
– Però che stupidi, potevamo portare almeno un po’ d’acqua*, cu ‘stu calore che ci sta.

(continua)

[*è un po’ la Regola del Terminale: se all’inizio della storia c’è dell’acqua che vi serve, prima della fine quell’acqua vi arriverà sicuramente in qualche situazione quanto meno bizzarra, o vi verrà offerta da un qualche personaggio quanto meno singolare]

Tag: ,

I Commenti sono chiusi