Illegali e clandestini appena oltre i limiti del tempo e della geografia.
[G. Tunström, Il ladro della Bibbia, 1986]
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E poi, insomma, in tutto ‘sto niente s’è fatto settembre. Anche se è ancora estate e ancora siccità, è che ci siamo a messi a camminare sulla mappa e non ci siamo fermati più. Anche senza muoverci. Tipo quel giorno, no, che:
Spari di fucile, lontani. Le pigne che si sbriciolano sotto le suole. Che silenzio che c’è. Poco fa stavo accucciata sotto uno dei pini a leggere quando il treno è passato: il macchinista mi ha vista solo all’ultimo minuto, a metà della curva, ha fatto in tempo a suonare solo per un attimo, solo un fì gli è uscito. Ho alzato la mano, ma era già lontano. Devo cercare di farmi vedere di meno, non vorrei che. E’ stranissimo, comunque, star qui ora che da decenni nessuno di quelli che passano su questi binari si aspetta che ci sia qualcuno. Anche la prima volta, quando abbiamo aspettato il treno, il macchinista si è spaventato, mi sono sentita trasparente, un fantasma. Eravamo lì e non dovevamo esserci, quello sguardo parlava chiaro, anche se siamo veri come erano vere le facce che aspettavano il treno qui venti, trent’anni fa. Già, perché poi chi lo sa da quant’è? Non abbiamo ancora trovato qualcuno che sapesse dirci fino a quando questa è stata una fermata. Lui dice che devono essere almeno trent’anni: quando ha visto il meccanismo per tirare su le sbarre del passaggio a livello (quello coi cavi d’acciaio) ha cercato di ricordare che età avesse nel periodo in cui li hanno sostituiti con quelli elettrici, a occhio e croce.
Un altro sparo di fucile. Cicale. Oggi si sono fatti vedere anche i nuovi custodi del posto. Due gattini e una bella gatta adulta che ci ha un po’ il fare da capostazione. E così ecco cos’era quel mìu che si sentiva qui intorno un mese fa. E poi: le uniche more che si sono viste in questa stagione nel circondario alla fine sono qui, appena all’interno del cancelletto d’ingresso a quel che era il giardinetto della stazione. L’altro giorno, liberandolo da un po’ di sterpaglia, mi sono accorta della S impressa sulla sommità del paletto dei cardini. Chissà chi l’ha fatta fare, e quando.
Ora la strada per arrivare qui è libera, il cancello e il muretto esterno un po’ meno invisibili. Ad un tratto abbiamo iniziato, senza rendercene conto, a prenderci un po’ cura di questo posto e la nostra presenza si è fatta visibile. Non so decidermi se sia un bene oppure no. Poco male: l’estate è quasi finita, ormai, il vento d’ottobre che si alzerà puntuale dal mare si spingerà ancora una volta fin qui e darà una pulita anche a questo marciapiede ingombrandolo gusci di noci, bacche di biancospino e resti di tegole del tetto. Umani, qui? Ma quando mai.
(continua)
Uhè, signorì.
Che bene scrivi.
Daniè