L’école du regard

No, che poi quante cose ci stanno da sapere di un posto prima, durante e dopo che ci hai messo i piedi dentro. Case vecchie di sessant’anni, qua c’era il bagno e mo’ ci sta uno stanzino, qua era tutt’una cosa mentre mo’ c’è una cameretta e un bagno, quindi su questa parete ci puoi fare buchi senza problemi, su quell’altra statt’accòrta che ci sta il cement’armato. Sott’al finestrone ci stava la stufa al kerosene, e il disimpegno non era. Bello il disimpegno, ci so’ momenti che è la parte della casa cui uno si sente più affine. Un minuscolo campo neutro tra una stanza e l’altra, che ci parliamo con una lingua che non è mia né tua ma ci capiamo, un po’ a culo, come viene, mischiando le parole mie e tue invece di distribuirle unammé, unatté. Le lingue, i toni, le virgole, pure le parolacce, gli apostrofi, le cadenze non sono di nessuno. Casa mia non è solo casa mia, ma di chiunque voglia venirci, e ciò non toglie che io sia di qui.

Nessun posto è mio: sono io, semmai, che sono di un posto.

Ah, le d eufoniche non ti piacciono? Se solo sapessi dove sei in questo momento. La sola cosa che so è sei da qualche parte qui vicino. Vabbuo’, mo’ m’assètto e t’aspetto nel disimpegno, tanto sempre di qua devi passare.

(no, è che ieri)

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Un Commento a “L’école du regard”

  1. CristinaKhay ha detto:

    Un bell’applauso a scena aperta alla tua vena ironica e soprattutto alla scioltezza della narrazione…

    Sono rimasta incantata a ridere :)))

    Un saluto

    Cri

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