(telefonata di auguri)
– Mamma, senti…
– Che c’è?
– No, volevo chiedervi una cosa…
– Eh.
– … per favore.
– Ummaro’, e che è?
– No no, niente… cioè, è solo che… vi prego, tornate un giorno o due più tardi.
– Eh? Perché?
– Perché qui non si può stare, si soffoca e se vai in giro dopo un po’ gira la testa e ti vengono i conati di vomito. Stanotte volevamo vedere l’alba e ce ne siamo dovuti salire a Casertavecchia per capire cosa stava succedendo. E’ bruciato tutto. Hanno bruciato tutto, ma’. Tutto. La città e la campagna erano tutte fumo e fuoco. Faceva paura. Vi prego, non tornate ancora. Statevene lì. Non tornate. Non tornate.
Mi passa il telefono e volge gli occhi lucidi verso le montagne. Lo so a cosa pensa. Ricorda quel giorno in cui le ho detto che la situazione è grave, e che per capire quanto sia grave bisogna immaginarsela come qualcosa di enorme che non succede da un giorno all’altro ma monta, monta, monta finché non si fa onda che si abbatte su te e sui tuoi, e allora devi scegliere tra restare e fuggire, con tutti rischi che entrambe le scelte comportano. La guerra, ma’. Ti devi immaginare che adesso, da un secondo all’altro, scoppia la guerra.