Ma noialtri… semo sicuri? Are we sure?

Prima veni lu cantu
e dopo lu lamentu
.

*

Dunque.
Io mi vergogno. Anzi: me metto scuòrno. Questo è il fatto.
Mi guardo intorno e me metto scuòrno (perché qui la vergogna è così, dura, violenta come una mazzata, e la si mette) del posto da cui vengo, della lingua che parlo. Non è vero che non è colpa di nessuno. Se non è colpa di nessuno vuol dire che siamo stati tutti, è inutile che ci prendiamo in giro. E qui, in queste terre di mezzo del pozzo-paese in cui nessuno di su – ma neanche chill’affianco – sa di quello che succede giù e viceversa, non c’è più nemmeno lo sguardo delle bestie e degli alieni a dirci: ma voi… seo sicuri? Sio sicuri? Are you sure?

 Le bestie muoiono e gli alieni sbarcano altrove… ovunque, ma non qui. Se qualcuno oggi ci guarda, lo fa da lontano, nessuno più viene a vedere come sono fatte queste strade e queste case e la luce di queste latitudini. Nessuno viene a sentire l’aria, nessuno ad ascoltare ‘a voce r’e cristiane ‘e ccà. Nessuno più entra in questa casa, in questa terra, chiede permesso, si accomoda e si guarda intorno: non ci sono più ospiti a metterci in difficoltà, a farci sentire osservati. Quei pochi che ci sono, sono muti, ciechi e sordi almeno quanto noi.
I giornali e la tv non ci mettono più soggezione ormai, si può sempre far finta non guardarli, di non leggerli, di non sapere. Ma gli occhi degli altri… quando c’è un altro che ti parla, un altro che ti chiede di spiegargli ma cossa xe sta roba… come gli si può sfuggire? Ti costringe a cercare le parole, foss’anche per restituire un cenno ostile, per trovare una giustificazione che non esiste. E intanto magari a tenerti il morso dello scuorno nascosto dint’ ‘e stentìni, ché tanto lo sai quello che sta succedendo, e ne sai anche il perché.

Ma oggi qui non c’è più niente – uomini, bestie o alieni – per cui dover trovare le parole. Uomini e uomini hanno smesso di parlarsi, figuriamoci se possono provarci con altri esseri viventi. Così restiamo senza idioma, idioti che non sanno più parlare, né fra loro né con gli altri da loro. E con questa idiozia talvolta ce ne andiamo via da qui, dove le cose sprofondano così velocemente da non riuscire più a capire se questo è ancora il posto in cui siamo nati e cresciuti, per entrare in altre geografie, sempre più spaesati, con lo scuorno dint’a panza e la speranza che il finale non sia lo stesso per tutti. E zitti andiamo, zitti camminiamo, e questo scuorno che non se ne va mai diventa la forza segreta di questi piedi e questi  occhi che trovano strade che sono strati ed entrano altrove, chiedono permesso, si accomodano e si guardano intorno. Ma ovèro site sicuri?, si sorprendono a dire prima o poi in un mondo così diverso da quello da cui sono partiti. Ah! Ma allora…

… e poi tornano. Torniamo. Anzi, poi torno. Torno e mi guardo intorno, e mi viene da chiedere: ma perché? Pecché? Uagliù, ma simm’ sicuri?

E’ una specie di scossa, breve, dolorosa come l’ago di una puntura fatta da una  mano pesante.

Facciamo corto circuito nel nostro stesso paesaggio? Ommadonna. Siamo diventati noi gli alieni. L’ultimo sguardo altro che ci resta è davvero il nostro, quello di chi se n’è andato in un altro blu ad imparare la propria direzione da gente che non gli somiglia, gente per la quale ha dovuto faticare, qualche volta anche soffrire per rompere il silenzio dello scuorno e cercare le parole per spiegarsi, per spiegare cosa succede in quell’altro punto del pozzo? Sembra quasi assurdo. Che sorpresa, del resto, quel giorno in cui abbiamo scoperto che a Capua e a Trieste il letto ha lo stesso nome, ah! Altro corto circuito: la corda del pozzo per far venir su il paese la si stava tirando tutti insieme, alieni e altri che si erano ritrovati ad andare a dormire nella stessa parola, e da lì a viaggiare insieme dentro molte altre finché il silenzio dello scuorno non ha cominciato a… parlare.

Prima il canto, e poi il lamento? No, talvolta può succedere anche l’esatto contrario. E se deve essere la vergogna a guidare me, aliena, agli altri che diventano voci… allora lo scuòrno me lo tengo. Se mi vergogno forse vuol dire che qui non è ancora finita.

Altri e alieni, alieni e altri. La differenza è solo la terra che hanno sotto i piedi. Gli altri ne condividono una, l’alieno no. Ma quanto si fa porosa la membrana di significato che li divide se dopo essere stato tra gli altri l’alieno torna a casa sua e gli viene da dire: ma siamo sicuri?

Deve essere per questo che, in metà di questo paese-pozzo, dentro il pronome che dice noi ci sono andati ad abitare anche gli altri.

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