Something like leaping into the void in a safe manner.
F.
*
[ Lied per clarinetto, violoncello e pianoforte in 25/4 ]
La testa stipata di cose, alle tre meno un quarto hai preso coraggio e messo le mani sul volante che scottava come roccia lavica, come le ustioni del tempo, come l’inoppugnabilità di certi eventi da cui si vorrebbe poter proteggere chi ci sta accanto, come quel rumore di fondo costante che da mercoledì non ti lascia. Se tentassi di spiegarti adesso, sai che non ci riusciresti. E allora non lo fai, metti nella borsa quel che serve e via. E’ estate, del resto, e d’estate ogni momento tende ad essere pieno… anche di nulla, ma pieno e non vuoto.
Il tempo si riempie, e sembra ovvio che certe cose succedano proprio in questa stagione, in questi giorni così enormi, così pieni di spazio, di sole, di vento e di calore.
Guidi verso la X che avete disegnato sulla mappa qualche giorno prima, sorridendo con le labbra punte da quel pensiero limpido come una lacrima. Duro, vero, potente, lo guardi ancora, il pensiero, attraverso il parabrezza, dietro il paesaggio che scorre placido e ingiallito dal ferro da stiro della canicola. Te lo senti già da ora, che anche il momento verso il quale stai andando sarà pieno, grande, forse scotterà anch’esso come l’emozione trafitta che ti stai portando dietro tranquilla, rigida di tristezza ma senza alcuna inquietudine. Scindere questo da quello non si può, sei venuta su così.
E arrivi alla X.
E d’un colpo tutte le parole sprofondano nelle voci, nei sorrisi, negli abbracci. Tutto va al suo posto nelle cuciture del paesaggio, anche quel dolore lontano che aderisce alle pareti del tuo cranio come carta da parato.
Eccoci qua.
Eh.
Essì.
Maaaaaa, che caldo.
Mare?
Massì!
Avete paura di camminare un po’?
No! – in coro.
Come succedono, a questo mondo, alcune cose? Come si fa che all’improvviso uno si incontra, e ride, e parla, e ascolta, e sta – non si sente, ma proprio sta – libero dentro qualcosa, finanche dentro un pronome? Del tipo, come dice lei: vai che ti teniamo. O, in altre parole: tranquilla, tanto abbiamo gli asciugamani.
Perché ecco, ci sarebbero anche i nomi, a volerla dire tutta: una preposizione, una congiunzione (ma anche interiezione, col risvolto double face tipico dell’outsider) e un articolo – pensi, chiacchierando nel benefico refrigerio del mare di Trieste, quando la montagna che incombe sull’acqua ti fa all’improvviso sensazione di casa tanto somiglia a certi angoli di Costiera. Il mondo come le stagioni, lo stesso ma mai uguale. E voi lì, intanto, incastrate in quell’interstizio tra roccia e acqua, come un po’ tutti i vostri tri-aloghi che appena trovano uno spiraglio tra una parola e l’altra si mettono a scavarlo fino a trovare tunnel, passaggi, viaggi. E questi nomi, che tanto somigliano alle piccole forze che sostengono le frasi. Si potrebbe sorriderne di qui a dieci anni.
Poi la risalita, la caccia, le frasche che non avevi mica mai seguito prima, tu, e la meraviglia che ti scompone la faccia come ogni volta che ti piglia quella sensazione: e chi se lo sarebbe mai immaginato?
In un’osmizza lontana anni luce dal mondo che conosci, dopo, con calma, col tempo che va un po’ come cavolo gli pare, ancora meglio: che bello. Si consuma ancora una volta, antico, il rito dell’incontro tra viaggiatori: racconti, brevi silenzi, un pasto buono, povero, sostanzioso.
{E un bicchiere è per te, che stai su un’altra sponda di questo stesso mare e so qualcosa che non vorrei sapere, e cioè che quando le parole torneranno saranno diverse, perché nel frattempo qualcosa di te sarà stato sepolto. Ed è per te, questo bicchiere, perché il vino è nero e si chiama Terrano e no, invece di scottare questo momento ha accarezzato, calmato, rinfrescato a suon di acqua e sudore e cibo condiviso, e questa compagnia ti sarebbe piaciuta, e perché quello che succede adesso qui è successo uguale uguale altrove, quel giorno. Sapevo che, a sporgermi sul baratro, non sarei finita giù. In a safe manner, così succede, anche quando si tratta di camminare sulla terra che ci si sta rivoltando contro. Ma sono cose che si possono ancora dire, queste? No, non viviamo più nel tempo giusto, pare. E allora, come tutte le cose umane che non hanno un fine, resteranno dove sono, nello sconfinato territorio del nondetto. Nel caso specifico: sotto un vecchio tiglio che non vedrai mai, a metter radici su una terra rossa dove nelle sere d’estate qualcuno che parla una lingua che non conosci continuerà a brindarci sopra, quando anche noi saremo passati oltre e il fatto che qualcosa nonsipuoddire sembrerà solo una sciocchezza come un’altra. Staranno bene, qui, queste cose, e anche loro potranno sporgersi sul vuoto in a safe manner. Alla tua, allora.}
Ma sì, di arrivare fin qui, a questa X, per queste vie lastricate di parole che si muovono sui 25/4 di un conto comunque quadrato (il quarto c’era, dietro le spalle di ognuna e per ognuna diverso)… ma chi se lo sarebbe mai saputo immaginare?
Devi tenertelo così, come le dicevi ieri, questo piccolo tesoro che non sai dire.
Le tre lettere di un pronome, tre voci, da tre posti diversi.
Chi se lo sarebbe immaginato questo intero, questa canzone a tempo dispari come voi, come noi?