Look at what I have found:
a seashell in a sea of shells.
[Dredg, Planting Seeds, 2005]
*
° Mattina, andare a farsi tagliare i capelli. E alla solita, solita domanda dare la solita, solita risposta: no, grazie, non li tingo.
° Lavare le scarpe. Sempre quelle.
° Pranzo a casa. Convitati: due, dall’aria decisamente poco rassicurante.
° Caffè e dolce, sul balcone.
° Abbracciare. Mannaggiatté, failabbrava, fateibbravi, salutamammario.
° Di pomeriggio improvvisare un piccolo viaggio. E, in macchina, parlareparlareparlare (miseria, uaglio’, ma sputamm’ maje ‘nterra, ne’?).
° Sbagliare strada, parlandoparlandoparlando, tre volte (nello specifico: saltare due uscite della tangenziale, finire un attimo a Cava de’ Tirreni e tornare indietro). Compresi nella corsa, risate ‘n faccia e impietosi riferimenti al codice genetico ricevuto in eredità.
° Arrivare appena in tempo grazie all’aiuto di un incontro quasi inaspettato, e mai abbastanza ringraziato.
° Sorridere.
° Ascoltare.
° Ringraziare.
° Sorridere ancora, e sentirsi con il passare delle ore sempre più in-con-si-sten-te. D’istinto, a un certo punto, ad una folata di vento aggrapparsi ai riccioli notturni di chi sta accanto. Che c’è, piccere’? No, niente, scusa, è che. Vie’ qua, vie’.
° Tornare – dopo un kebab mmiéz ‘a via seduti per terra in una piazza piena di sorridente uagliunèra – sbagliando di nuovo strada e di nuovo ridendo. Ridendo, ridendo, ridendo. E poi cantando, finché c’è voce.
E dopo:
° A un’ora dalla partenza, perdere e ritrovare la direzione.
° Far entrare la nozione di spazio dentro una valigia.
° Ricordarsi solo all’ultimo minuto di non lasciare a casa una cosa indispensabile.
° Andare.
Tag: i soci, idioma o idiozia