Riflettiamoci, su

Che poi ci puoi girare intorno quanto vuoi, ma poi alla fine basta, il perché diventa solo una perdita di tempo. L’analisi logica non ti dice perché una frase ti piace così tanto che non smetteresti mai di ripeterla,

[ Ài da stâ dentre al tiô vuoe par jôdeme ]

e intanto magari ti fa distrarre dalle parole, dalla voce che le pronuncia, dal viso che guarda un po’ qua e un po’ là e dalle mani che si muovono nell’aria mentre la voce, la voce parla. E poi ti concentri, allora, ti concentri tanto che nella voce ti perdi, la lasci entrare dalle orecchie di spugna che la assorbono, come sempre, come ogni volta che riesci a non distrarti, come ogni volta che ti dimentichi di averne anche tu una, di voce, ché poi se pure ce l’hai non la vuoi sentire perché tanto non serve – se parli non senti, e se non senti che parli a fare? – però poi ti dimentichi anche che in teoria ci sarebbe un tuo turno, il tuo turno che serve a non mandare in pezzi il ponte d’aria su cui passa quello che vi dite, ma te lo ricordi quando è tardi, quando sei ancora lì che stai dando alle sue parole il tempo di attraversare il mare di punti di sospensione che vi separa………… e intanto il momento è passato, l’hai mancato perché diciamo la verità, come glielo spieghi che un ritmo unico per tutti i discorsi non esiste e che anzi, ogni volta che si apre bocca se ne crea uno diverso?… così lo guardi mentre ti guarda, che lui ha finito di parlare ma tu sei ancora lì che aspetti le parole arrivare fino in fondo al ponte, fino in fondo alla pancia, e allora anche lui lo vede, il mare di punti di sospensione, te lo vede in faccia ma non sa che è normale e allora ti fa vabbuo’, andiamo, va’, e tu lo senti che sotto quel vabbuo’ c’è un pugno nello stomaco del tipo oh, guarda però che stavo parlando con te, e che cazzo. Ma tu sei veramente, ma veramente tutta scema, allora: pensi che delle persone non ci capisci una mazza e la cosa, in verità, non ti dispiace mica, anzi, perché barcamenarti tra errori e tentativi in qualche modo ti piace, ti tiene sveglia e ti fa sperare sempre che la prossima volta, forse, ecco, se stai più attenta magari andrà meglio. Perché intanto che lui aspettava la risposta tu lo assorbivi parlare e a te intanto tornava in mente la forma di certe foglie e ti dicevi ecco, questo qui è proprio come quella foglia lì, di spaccasassi, tutta storta e nell’insieme assolutamente perfetta, e chissà se anche lui quando ci si mette è capace di romperli con tutta la calma del mondo, i sassi, mi sa di sì. Lo vogliamo dire, e diciamolo, che ti piace non capirci un tubo con le persone, e che proprio perché non ci capisci niente stai sempre lì a paragonarle agli alberi, alle piante, agli insetti. E ti piace anche stare in silenzio mentre loro tirano fuori quello che hanno da dire – dare – anche se poi manchi di parlare al momento giusto pur avendo qualcosa da dire pure tu – che poi che significa avere qualcosa da dire? – e anche se loro ti prendono per… boh, per cosa ti prendono? Maleducata? Rincoglionita? Stupida? Una via di mezzo tra le tre, forse. Vabbe’, ti dici sempre, non fa niente, ma chissà che qualche volta uno dei tuoi silenzi non ti privi di una delle prossimevolte in cui riponi la tua fiducia… che chissà quante te ne ha già tolte, senza che nemmeno te ne sia accorta. Come se non fosse già abbastanza ridicolo andarsene in giro con tutta quella roba verde in testa, invece che con pensieri di senso compiuto che non facciano credere a chitistadifronte che non lo stai ascoltando. Che poi se non gli rispondi è proprio perché lo ascoltando da capo a piedi, dalla voce al corpo, accidenti a te.
Ma lui non lo sa, e allora forse ci resta anche un po’ male, mentre tu sei lì a sentire la paura che lui ti stava raccontando fissando il cilindro di monetine che ha appena costruito. Ma chi lo fissa, il cilindro, tu o lui? Tutti e due, dannazione, e ci sei, scema, allora… no? Sì. Veramente sì. Che poi dopo te ne accorgi, ti molleresti un ceffone da sola, e il resto ti si strozza lì. Provi a sorridere ma poi insomma… sarebbe meglio di no. Il momento pesa, s’ scassa, passa, e tu pensi ancora: mado’, non ci capisco niente, non ci capisco VERAMENTE niente. Poi ti guardi intorno e furtiva, piena di vergogna, ti ascolti dire meno male, mentre il pensiero va in frantumi, fucilato da quell’attimo di silenzio che forse non avrebbe dovuto essere. Ma perché, poi?

(sì, c’è eco qui dentro)

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5 Commenti a “Riflettiamoci, su”

  1. Dichtung ha detto:

    Esimia Keroppa,

    mi permetto di entrare da lei nonostante l’ora tarda, dopotutto ha lasciato la porta aperta. Sono a mani vuote, nel senso che non ho alcuna risposta al suo perché, ma le prometto di rifletterci. Scusi la sfacciataggine, immagino che anche lei, come me, non parli la lingua di Tavan, vero?

    ‘wiedersehen

  2. keroppa ha detto:

    Notevolissima Dichtung! Ma si figuri per l’ora, questo posto è prima casa sua e poi mia… se non fosse così, anzi, temo non esisterebbe del tutto. Ma comunque.

    Nessuna sfacciataggine, non lo dica manco per scherzo: no, non parlo la lingua di Tavan, la vita mi ha voluto localizzata qualche centinaio di chilometri più a sud di Andreis… anche se questo, ormai un po’ di tempo fa, non ha impedito il verificarsi di quello che allora mi sembrò un piccolo prodigio (mi perdoni la brutta autocitazione ma non sono più capace di spiegarlo in due parole, adesso). In ogni caso, da allora Tavan non mi ha lasciato più. 🙂 Per questo qualcuno altrove fa “che vi dice Andreis?”, e… ecco. 😉

    Ah, e poi: Esimia, tolga da lì quell’esimia, qua siamo contadin-boscaioli del sud, e… poi gli esimî si offendono. A ragione, diciamo anche.

    Ma che bello saperla da queste parti. Grazie. 🙂

  3. Dichtung ha detto:

    Se tutte le autocitazioni fossero così brutte, si vivrebbe tutti in una città ideale, di quelle rinascimentali con l’uomo al centro, per intenderci. Mi trovo in estremo imbarazzo ora perché, entrando in questa casa, a me è affidata la voce, ed è una responsabilità enorme sapendo che la voce arriverebbe a nervi così scoperti. Avrà capito che Tavan non lascia neanche me (è in buona e rumorosa compagnia con altri, comunque, se vorrà se ne potrà riparlare); quello che lei ancora non sa, e che mi sento di condividere qui in questa dimora così accogliente, è che anche voci mai ascoltate, articolate da famigliari di generazioni precedenti in una lingua ormai estranea alla propria in quanto non più tramandata, possono essere sentite. Io le sento. Ecco, le ho affidato una voce sulle mie voci, chissà che possa arrivare.

    Nelle mie associazioni mentali, alle parole Andreis, Tavan, tiô vuoe, sui lavres un vier, nins, matz, ucei strambus, e via vociando, ora si è appena aggiunta eus.

    Lei ha il potere di farmi iniziare bene la giornata.

  4. keroppa ha detto:

    Premurosissima Dichtung, per carita’! Prenda alla leggera la sua voce, quella dei nervi scoperti e’ scelta ponderata e consapevole, e si sa che dalle scelte non bisogna mai proteggere nessuno. O quasi. Lei stia pure qui con la sua voce…quel che succede ai nervi e’ responsabilita’ di chi li lascia scoperti. 🙂 Quanto al perche’…fino ad ora non c’e’ stata risposta, e’ vero, e devo dire che sono d’istinto d’accordo con lei sul fatto che probabilmente e’ un bene. E pero’, pero’ … le sento anch’io quelle voci, lontane nello spazio e nel tempo… e ogni si alzano, dentro, incredibili polveroni, sicche’ non mi e’ quasi mai possibile smettere di pensarci. E allora come si fa, mi chiedo…

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