Il giallo abbacinante dei friariélli ormai fioriti, che dice: be’, stàteve bbuon’, ci vediamo il prossimo inverno.
L’odore dei carciofi arrostiti all’angolo delle strade.
I cani del quartiere, non abbandonati ma di tutti, che abbaiano a ogni ora del giorno e della notte. Che ti guardano negli occhi e ti fanno: bau, ciao.
Il camion della monnezza alle cinque e quaranta del mattino, sempre lo stesso, con il braccio meccanico che si inceppa e sollevando i cassonetti fa un baccano infernale. Le bestemmie dei monnezzari che alle cinque e quaranta del mattino si sentono almeno fino a Casaluce.
Le albe viola e i tramonti arancioni, vuoti di presagi ma colmi di segni, soltanto di segni.
Le macchie sui muri. Di muschio, di incuria, di sole, di intonaco caduto a pezzi, di umido, che improvvisamente ricompaiono se insieme a te c’è qualcuno che viene da lontano, che per questo posto ha occhi nuovi di zecca.
Le grida del mercato del lunedì, che arrivano fin qui.
Un film, che lo cerchi e lo cerchi, e non lo trovi.
La casa dall’altra parte della strada, che ogni dieci-quindici anni cresce di un piano e che sta grattando via l’ultimo quadrato di cielo che resta a questa finestra.
Di nuovo il giallo, dei limoni stavolta, che spunta da una chiazza di rovine di tufo nero. Sopra un muro, alto alto, contro il cielo chiaro.
Il fischietto dei parcheggiatori abusivi.
Le 126 che passano in strada con l’inconfondibile pernacchiare della marmitta, cariche di donne e di spesa, di ritorno dal mercato.
La ragazza del primo piano del palazzo di fronte, che canta rifacendo i letti.
Il ficus gigante che mia madre ha trapiantato nel giardino condominiale quando avevo otto anni perché già allora nel vaso non ci stava più. E che oggi, vent’anni dopo, fa ancora verde l’aria fuori dalla finestra, alto ormai quasi fino al secondo piano. E per il quale – quando in assemblea di condominio ho chiesto in ginocchio di lasciarlo crescere perché quel muro verde è meglio del muro di cemento alto quattro piani che c’è alle sue spalle – mi hanno sorriso e risposto: ma sì, perché no? Come si fa con i pazzi.
Il mercato sul sagrato di una chiesa, sotto le palme e gli alberi carichi di mandarini, col bianco troppo bianco dei gazebo, del lastricato, delle buste di plastica, dei capelli dei venditori e delle loro voci.
Il vento, e Tommy Emmanuel nella testa, che capita solo con una giornata così.
Di questa latitudine i no, ma anche i sì. E i boh.
(post in progress)
E poi.
L’anziano impiegato al rientro dal lavoro, che si fa la croce quando l’autobus imbocca l’autostrada. Ogni giorno.
La tramontana della domenica, e la canzoncina claudicante dei rom che passano per l’elemosina, sempre a quest’ora, quando tutte le donne sono ai fornelli e si affacciano a lanciar loro qualche moneta, che raccolgono al volo in un sacchetto di stoffa blu. Buooongiorn’, sagnòra!
Una telefonata, nove e quaranta del mattino:
– Pronto.
– Oh.
– Eh.
– Senti, ti informo che qui davanti alla stazione è appena passato un tiro a otto.
– Alla faccia! E com’era, sei davanti e due dietro?
– Sì, e quelli di dietro con l’accompagnatore a pie-di.
– Eh, nel traffico si usa. Vabbuo’, hai dato una passata di cartavetro a tutto quello che avevi di disponibile?
– Certochessì. Però mo’ cambio strada.
– Eh, mi sa che fai bene. Buona giornata, eh.
– Pur’atté. Ci vediamo a pranzo, ciaccià!
– Cia’.
*
E ancora, in associazione (di idee):
I botti che ti svegliano la domenica mattina verso le sei…e tu lì, sotto il piumone, nel meglio del sonno, a maledire dei figurini vestiti di bianco che dopo qualche ora sentirai con la loro nenia dedicata alla Madonna dell’Arco che ti ritroverai a cantare con loro facendo colazione con le finestre aperte in una domenica mattina piena di sole e brezza quasi odorosa di mare…
L’odore penetrante della brace su cui dei carciofi pieni di aglietto, pepe, sale e prezzemolo stanno rosolando riempiendo l’aria di quella nebbiolina odorosa…
Il giallo abbacinante dell’asfalto pieno di sole del dopo pranzo domenicale quando tutti sono a sonnecchiare sul divano o davanti la TV e tu lì per strada con la macchina che gironzoli in solitaria per il puro gusto di girovagare… [Cloto]
hai un impressionismo nello scrivere che è invidiabile. Cioè te lo invidio. Bellissimo.
E un bacione.
Ohe’! Mafa’, cca’ facimm’ ‘mpressione, casomai.
(ma ciao!)
M’incanti, volevo dirtelo.
M’incanta leggerti – che poi non è solo *leggerti*… – ma ascoltarti che (mi) parli, quasi…
Avere la malsana impressione di riuscire a percepire pause, inflessioni, intercalare inframezzati da respiri di fiatone – come dopo che hai girato l’angolo, dietro una curva in salita…
Sì, tu – che non conosco – che m’ *accumpagn vico vico,
sulo a te ca si’ n’amico…
e te porto p”e Quartiere,
addó’ ‘o sole nun se vére…*
come in quella storica canzone, inondata di Vita e di Luce.
P.S. Quanto ai vicini, sai cosa?
Che ti credano pure pazza.
Quel ficus è davvero troppo bello, e deve restare dov’è. 🙂
Buon martedì.
come è vera e sacrosanta la storia dei sì, dei no, e dei boh: come può essere taumaturgica la terra in cui nasci un attimo dopo che l’hai maledetta, solo voltandoti da un’altra parte.
[leggendoti mi è tornato in mente quel frammento di Majakovskij che dice “ma la terra con cui hai diviso il freddo mai più potrai fare a meno di amarla”]
[domenica sono passato per l’A1 e, dalle parti dell’uscita per capua, sono stato abbagliato dal giallo oro dei fiori di broccolo spicato, belli più dei girasoli]
poverina. ora per l’imbarazzo e l’emozione si strafogherà di asprinio e mozzarella di bufala. o sopressa e malbech. non sai mai dove stia.
Idea, idea: visto che il post è in progress, qualcuno vuole metterci del suo? No, eh? O sì? Boh.
Maledimiele: che dire? Calavera mi intimidisce oltre ogni dire, quindi: buon martedì anche a te. E Grazie.
Esimio: la perspicace creatura con cui di tanto in tanto mi capita di trascorrere del tempo li chiama i fiorellini giallo evidenziatore.
(quelle prime due righe, esimio, quelle prime due righe che ha scritto. Eh.)
Calavera: dice bene. Mai. Attenzione.
aiuto, la mazza.
😀
Eh, no. Acqua, acqua. Lei finge di non sapere cosa la attende.
Già! E alle nostre latitudini… ce ne stanno tantissimi di “sì”, a parte i boh.
a proposito dell’in progress…
i botti che ti svegliano la domenica mattina verso le sei…e tu lì, sotto il piumone, nel meglio del sonno, a maledire dei figurini vestiti di bianco che dopo qualche ora sentirai con la loro nenia dedicata alla Madonna dell’Arco che ti ritroverai a cantare con loro facendo colazione con le finestre aperte in una domenica mattina piena di sole e brezza quasi odorosa di mare…l’odore penetrante della brace su cui dei cariiofi pieni di aglietto, pepe, sale e prezzemolo stanno rosolando riempiendo l’aria di quella nebbiolina odorosa…il giallo abbacinante dell’asfalto pieno di sole del dopo pranzo domenicale quando tutti sono a sonnecchiare sul divano o davanti la Tv e tu lì per strada con la macchina che gironzoli in solitaria per il puro gusto di girovagare…
per ora stop…
scusa se invado con il mio profano modo di scrivere la sovranità incontrastata ed incontrastabile delle tue righe…
hai un modo di descrivere che ha della meraviglia…quando ti leggo è leggere ma guardare…osservare…odorare…toccare…i sensi percepiscono tutto…
Cia’
Anto
A proposito degli spropositi…work in progress…forse riprendo la tastiera…del pc…si sconsiglia vivamente la lettura
Cia’
Anto
Donna! Una statua a te per l’associazione di idee. E una mazzata in testa per tutto il resto (ma era ora, era!). Ah! 😉