Attesa

Uff’. Boh. Mah. Mattina. Matinée. Mattatoio. Matti. E matto. Mattone. Mattonella. Mattutino. Mattinate. Martina. Marrùzza. Martedì. Mercoledì. Giovedì. E venerdì. Venere. Luna. Acqua. Caìgo. E treni. Stazioni di transito. Caserta è una stazione di transito. Sul ciglio dei binari che l’attraversano sono nata e cresciuta. Ci affondo le radici. Radici di ferro, che sono binari. Scambi di ferro, che sono parole. Parole di ferro, che sono ponti. Ponti di ferro, che scavalcano fiumi. Fiumi di ferro, che sono stazioni. Stazioni di ferro, perdute nei vuoti delle cartine. Vuoti di ferro sulle cartine, che sono impresenziati. Presenze di ferro nei vuoti delle cartine, che sono case cantoniere. Cartine di ferro, che sono errori degli uomini dove sono vuote. Ferro sulle cartine, che fa rumore che viaggia sulla pianura. Linee di ferro sulle cartine, che sono strade di voci odori e attesa. Attese di ferro, come in stazione, come qui. Ferro che quando l’attesa finisce è volo radente, e strada che entra e che esce dagli angoli del mondo di carne degli uomini. Cervelli di cemento, che sono muri affacciati su un mondo di ferrocarne che non li tocca. Un mondo lungo e largo, dove ferro e carne sono tra loro leali e solidali, e fabbricano viaggi. Ferro, ferro e ancora ferro, caldo come carne.

 Con lo sguardo abbiamo chiuso, dicono, e bestemmiano. Dove l’ho letto? Non me lo ricordo. Bestemmiano, comunque. E calpestano. Con i piedi passano sugli occhi di chi cerca di vedere. Di chi una lente per vedere il mondo non ce l’ha, e non l’ha mai avuta. In generale, calpestano. Ma guardano in aria. C’era una volta. E adesso cosa c’è? Adesso c’è un professore che non arriva, e voci nei corridoi. Ci mancavano le mappe satellitari, ci mancavano. Voglio denunciare GoogleEarth.

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