Eppure (ovvero: mobbàsta)

<<Qui è tutto come intensificato, questione di scala probabilmente, di rapporti interni. La forma dei rumori e di questi pensieri (ma erano poi la stessa cosa) mi è parsa per un momento più vera del vero, però non si può più rifare con le parole>>.

[Luigi Meneghello, Libera nos a Malo, 1963]

La quinta – e ultima – volta che sto a guardarla prima di lasciare che mi porti via senza farle più domande inutili è… un elenco.

E’ una mattina di metà maggio, sono tornata a casa da qualche giorno e sto aspettando il C1R alla fermata della Rotonda di San Nicola la Strada per andare all’università. In spalla ho una borsa che pesa un accidenti, la pensilina della fermata si è trasformata in un forno di ferro arrugginito sotto il sole, l’asfalto scotta e ad aspettare il pullmanblù ci siamo io, una corpulenta signora con un passeggino nel quale non si capisce se ci sia un pupo o meno, due rom piuttosto in avanti con gli anni che stanno seduti sul muretto fumando una sigaretta dietro l’altra senza parlare, e un ragazzo tunisino che lavora al semaforo del centro commerciale un chilometro più avanti, che conosco per via di un simpatico episodio di qualche mese fa in cui ci capitò di scambiare due parole e scoprire che entrambi si parlava il francese. Ci salutiamo, chiacchieriamo un po’ del caldo, dei libri che ho con me, di suo figlio che ha sette anni e sta in Tunisia e al quale piacciono ancora, dice lui, le fiabe. Come se non riuscisse a spiegarselo. Le chiacchiere vengono però interrotte dall’arrivo del suo autobus, e io non ho il tempo di chiedergli quali fiabe piacciano al suo bimbo. Tchao, e bbòna jurnata!
Io, invece, ne ho ancora per un po’. Il mio è in ritardo già di un quarto d’ora e, conoscendo la linea, devo concludere che è saltata la corsa. ‘ccidenti. Sotto la pensilina non si resiste, sotto il sole ancora meno, ma se mi allontano per spostarmi sotto gli alberi della Rotonda rischio di mancare l’autobus, cosa che non posso permettermi. Resto dove sono, allora, e con la calotta cranica ormai in fiamme penso a quanto mi sembrano lontani nello spazio e nel tempo il Tagliamento, quella strana primavera che fa sssssss, e quel paio di pedali che dovevo tenere en soferénsa. Eppure, non è passata nemmeno una settimana. Eppure, com’è diverso il mondo di qui e . Eppure guarda qua, in effetti il verde è un po’ diverso. Eppure a terra, ai lati delle strade, qua c’è polvere e là c’erano pallini di polline di pioppo. Eppure, i papaveri sono gli stessi. E le lucertole pure…

… sulle lucertole tiro fuori dalla borsa il quadernino blu e la penna, in un gesto quasi automatico. L’elenco viene giù da solo.

Primavera

Che è pure brutto, eppure… eppure dice esattamente quello che intendo. Niente di più, né di meno. Per una volta. Pure che stong’ schiattann’ ‘e càur’, e che l’esistenza del ciunoerre è diventata una specie di atto di fede. Che in fondo, sul fondo di tutta questa giornata che deve ancora iniziare c’è l’immagine della linea d’un orizzonte, il rumore di un battito d’ali e quello della marea. E che alcune cose le capisco solo quando sto qua e là. Perché intorno a quella linea tirata con il righello danzano due strade, che divergono l’una dall’altra e pure di tanto in tanto si incrociano, si sfiorano, si toccano, si intrecciano e poi di nuovo si allontanano, pur senza mai abbandonare del tutto la linea che – come dire? – le sostiene, forse, e che le salva dal non significare niente (per me), allo stesso modo in cui il bastone di Hermes salvò i serpenti del Caduceo dal divorarsi a vicenda e distruggersi. Solo che, come disse lui, non so se si può rifare con le parole.

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6 Commenti a “Eppure (ovvero: mobbàsta)”

  1. Tristanbantam ha detto:

    c’è un’intervista a Bufalino in cui parla dell’effeto che gli fece la Svizzera, arrivando dalla terra arsa della Sicilia, del facino della morbidezza delle colline ricoperte di quel verde…

    intanto proseguo nell’esplorazione della val di Fassa

    baci

  2. manuelcalavera ha detto:

    e tra i due elenchi, una slabbratura che diviene fenditura e poi buco in cui sprofondare.

  3. keroppa ha detto:

    Uhm. Seguo l’invito, va be’.

    (svegliato male, stamattina?)

  4. manuelcalavera ha detto:

    ma no, ti immaginavo immobile sotto la pensilina in fiamme come un’installazione alla biennale (bu

  5. manuelcalavera ha detto:

    mi scusi, la piattaforma di splinder ha smesso di funzionare mentre commentavo:

    co dei pubblici trasporti)

  6. keroppa ha detto:

    Mabbeatolei, solo un veneziano potrebbe pensare ad una cosa così in termini di Biennale. Sorrido. No, anzi: sghignazzo. Però poi sprofondo nel buco ugualmente, come suggerito.

    (dalle mie parti si dice che vuta’ ‘a pizza t’arruìna sulo ‘a cena, lo sa?)

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