Nonlosò (sogg. sott.: primavera)

And we both know that no one’s going to win

when the walls come crashing in.

Tic. Tic-tic, tic. Tic-tic-tic.

 La seconda volta è lei a venirmi incontro, gentile, con piccoli gesti, brevi, lievi e traditori. Stiamo pedalando insieme, lui e io, verso Sacile, è domenica mattina, la Pontebbana è più che deserta, la testa mi si è riempita del fruscìo dell’aria che strofina le orecchie in corsa mentre sono tutta presa e tesa ad ascoltare ogni spasmo della corona anteriore, che è quella che ultimamente sempre più spesso singhiozza, sferraglia, chiede aiuto. Sono lì che gioco con i rapporti più lunghi, quando tic, tic, tic… tic… ma non è la catena che sfiora il carrello a ridosso della penultima marcia, come avevo frettolosamente pensato all’inizio. E cosa, allora? Sempre quello. ‘ccidenti.

 Verso Fontanafredda, sulla strada compare un cancello… grande, di ferro battuto, ai cui lati c’è niente più che un accenno di muro di cinta, in pietra. Sembra piovuto lì dal cielo, così, a fare la guardia all’enorme campo che si stende, si apre al di là della strada in tutte le direzioni visibili, verde e quieto, e la sola cosa a far pensare che abbia un passato sono la ruggine che lo ricopre e la stradina sterrata che inizia alle sue spalle, attraversa il campo e si interrompe dopo poco senza portare apparentemente da nessuna parte. ‘St’aria è così asciutta, mi dico, quando lo sguardo mi cade su una macchia bianca sul ciglio della strada, alla mia destra, che non faccio però in tempo a mettere a fuoco ("su, mo’ vai ad annaffiare le aiuole ché nonna ci aspetta a tavola…").

– "Ue’, che mormori?"
– "Mh?"
– "Stavi dicendo qualcosa"
– "No… cioè… no, va be’, non me ne sono accorta… ero sovrappensiero forse…"
– "A cosa pensavi?"
– "Non lo so… al nonno, credo…"
– "Come mai…?"
– "Non lo so".

Sorride, mentre continuiamo a pedalare. E’ bello, un sorriso in risposta a un non lo so: fa sentire un po’ scemi, penso, eppure profondamente rispettati. Dopo Fontanafredda le case si fanno più rade e la strada tutta incroci, semafori, canali. E qualche bar. Il sole scalda, il vento si lascia fendere.
Arriviamo a Sacile che è quasi mezzogiorno, e all’ingresso del paese si scorgono colori, gente, il bianco di qualche tendone da mercato. Non lo sapevamo, ma oggi c’è la Sagra dei Osei e le strade sono tutte un cinguettare, squittire, scintillare di bicchieri di vino che al sole lanciano riflessi pagliaviolaverdi su fettine di pane e formaggi e salumi… ci sono voci, di uomini e bambini, altre biciclette, braccia nude che godono delle prime giornate calde della stagione, e d’un tratto mi accorgo che i muscoli della faccia mi si sono disposti a comporre un sorriso senza passare a chiedere il permesso alla sede centrale. Lì dietro, al cervelletto, devono essersi ammutinati e aver preso una qualche iniziativa, perché non riesco a smettere. Tic. Tic.

[I’m the man in your closet, I’m the ghost beneath your bed

I’m buried in the thoughts that sting the back of your head…]

Una folata di vento che sa di terra grassa e aratura mi investe mentre, in un vicoletto del centro storico dove le rondini sfrecciano in un elegante avanti-e-‘n-drìo tra i loro nidi sotto i tetti e il fiume poco distante, sto scegliendo qualche libro usato su una bancarella ("i buchi devi farli tutti alla stessa distanza… se crescono troppo vicine poi se sturzéllano, s’abbòccano e poi cadono…"), e sulle sue ali arriva qualcosa che conosco, dolce, dolce…

[… and you’re gone… and everybody knows you’re gone…]

…così dolce che fa quasi male. Arriva, è un’onda, è l’onda, l’onda di tutte le stagioni che passano e sempre ritornano, arriva, è dolce e feroce e mi sorprende così, senza difese mentre mi rivedo, li rivedo, rivedo tutto e mi rendo conto che questo inverno lungo e difficile è passato, è passato, è finito, la luce è tornata anche se tutto è cambiato, tante cose sono andate e altre sono venute, fuori e dentro, e anche se non c’è odore di mare nell’aria non fa niente, questa primavera non è uguale a quelle che ho vissuto fino a ora eppure non importa, qualcosa c’è che pure arriva, a onde, a onde, c’è ‘st’odore di terra che è lo stesso di quando piantavamo il mais, e allora qui o là non fa differenza, le forme sono diverse ma i colori sono gli stessi, e tutto torna ugualmente, insieme a vocisuonieunacanzone…

[… nothing’s changed, it stays the same…]

… in sella a due bici che scivolano sulle strade sospinte dalla stessa corrente, che sostano per il pranzo accanto ad un tavolaccio di legno, sotto un campanile, all’ombra di un ombrellone bianco, mentre lui sorride, sorride, perché sa che sto ricordando e questa primavera mi sta aprendo come un fiore mentre la strada si allunga, non finisce e pure non resta mai la stessa, attraversa primavere e stagioni altre e non c’è niente altro da fare se non andare, ché ‘sta strada ci sono giorni che si fa acqua, e corrente, e non c’è motivo – perché non c’è quasi mai motivo – di resisterle, ma perché mai si dovrebbe poi? Non lo so.
E punto.
Punto.
Fermo.
Oh.

[… and you’ll stay gone when nothing else has changed….]

Non lo so. Prima era stato un sorriso, adesso è un punto che, dopo un altro nonlosò, mi risveglia da pensieri che non so più se sono visioni o parole o cos’altro. Mi ritrovo con un libro in mano, ingiallito di tempo e di abbandono, che compro senza nemmeno leggerne il titolo. Resterà qualcosa tra queste pagine macchiate e già lette da qualcun altro, forse? – forse, forse, penso, e già mi rivedo a guardarlo sul ripiano della libreria e a pensare: quello è il libro che avevo in mano quel giorno a Sacile quando all’improvviso – per via del vento pieno di odoricolorirondini – nell’abbraccio di una stagione diversa mi sono sentita, per una volta, a casa.

[Gone… and you’ll stay gone… while everything remains.]

[Gazpacho, Ghost, 2003]

continua

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4 Commenti a “Nonlosò (sogg. sott.: primavera)”

  1. keroppa ha detto:

    Per un problema di visualizzazione – chiedo scusa – ho dovuto cancellare e reinserire questo post. Con esso sono stati cancellati i relativi commenti, che riporto qui di seguito.

    #1

    12:11, 23 maggio, 2006

    mi ha incuriosito il nome del blog… poi son rimasta ‘presa’ dalle tue foto. passerò a guardarle e leggere con più calma. intanto un saluto.

    thursday

    #2

    13:21, 23 maggio, 2006

    proust inzuppava le maddalene nel thé, keroppa i tarallucci nel vino.

    manuelcalavera

    #3

    13:23, 23 maggio, 2006

    chiedo venia per l’ortografia di the (tè).

    manuelcalavera

  2. keroppa ha detto:

    thursday: grazie per essere passata, allora… e a presto. 😉

    calave’: oh, ma ultimamente lei c’ha un talento. Umpf. Non è che possiamo fare latte&biscotti, fave&acqua, gelato&caffè, yogurt&cereali?

  3. Tristanbantam ha detto:

    sì, funziona così, poi viene un momento in cui si fanno le scatole, il libro finisce sul fondo, le foto restano in quella casa là, le lettere chissà dove le ho messe e d’un tratto ci si chiede, e tutti quei ricordi là? Orfani di un libro, di una foto, di un sasso, di un bicchiere di vino?

    Stamattina sono così.

    Baci.

  4. keroppa ha detto:

    Di un odore, pure. Ci si ritrova orfani per così poco, è vero, viaggiando. Di cose così piccole che se ne potrebbe anche perdere il conto. E invece no. Uff’.

    (e stasera so’ io, così)

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