Vince sempre lui, in questo gioco a chi emigra più lontano. Sono anni che, ogni tanto, ci ritroviamo a una quantità indecente di chilometri l’una dall’altro, qualche centinaio quando va bene, altrimenti diverse migliaia. Ormai a dire il vero sarebbe anche il caso di farci l’abitudine. E invece.
L’altro giorno mi fa: "allora io domani vado. Guarda che domani mattina ti spedisco un pacchetto".
E io: "eh? Che è?".
E lui: "niente, un po’ di Entspannung. Mo’ che me ne vado io qua non la beve più nessuno".
E io: "uuh, grazie…".
E lui: "ma di che… l’unica cosa che mi impensierisce è il modo in cui spedirla. Se aprono la busta per un’ispezione postale chissà cosa pensano".
Molte delle piccole cose che fanno parte del quotidiano di ognuno si portano dietro una storia. Spesso lunga, quasi sempre anche assai semplice.
In questo caso, la storia è lunga di chilometri percorsi insieme, e semplice come un negozio tutto blu e bianco dove c’è una signora anziana, magra magra, alta alta e bionda bionda che vende soltanto foglie e grani di tè, ed erbe e frutta in forma di sacchetti etichettati con nomi un po’ strani. E semplice anche come decine di sessioni di chiacchiere notturne davanti ad una tazza bollente che fuma, e che spande profumo d’arancia mentre fuori la Tramontana sbatte impazzita sulle finestre cercando di entrare in casa.
Oggi il pacchetto è arrivato. L’ho trovato appoggiato sopra le cassette postali, ché il postino avrà temuto di rovinarlo tentando di farlo passare dalla fessura troppo stretta delle stesse.
Bel modo di salutarsi, però. Quando ci rivedremo, mi troverà ancora i segni della sincope sul volto. A momenti mi pigliava nu riscenziello. Dal ridere.
Stasera una tazza è alla tua salute, Reisender. Eh.
Buon viaggio.