Ci si potrebbe stare per tutta la notte, a guardare i cerchi disegnati sulla superficie da un sasso lanciato in acqua sotto la luce della Luna.
Ci si potrebbe stare per tutto il giorno, seduti sul molo a guardare la nave che riporta un amico a casa, fino a quando non ha scavalcato la linea dell’orizzonte.
Ci si potrebbe addormentare, stasera, sulle onde, lievi, di un canto, che viene da lontano. Da lassù.
Faviéleme de li tô mans
ch’i àn sempre carecjât
lagrimes e ridudes.
Faviéleme dal tiô cour
e de li sô batudes.
Puàrteme ai ans ch’i cor
par strades cencja curves.
Faviéleme de ce che tu voul,
làsceme jôde in tai vuoe
un lac plen de barcjutes.
Cónteme de cuan’ che
tornànt da la fontana
la sela piena de vita
a rît
(Federico Tavan, Picjal cjant*. Da Cjant dai dalz, 1985)
* Per una volta riporto anche la traduzione, così com’è scritta dall’autore:
Piccolo canto. Parlami delle tue mani che hanno sempre accarezzato lacrime e sorrisi. Parlami del tuo cuore e dei suoi battiti. Portami agli anni che corrono per strade senza curve. Parlami di ciò che vuoi, lasciami vedere negli occhi un lago pieno di barchette. Raccontami di quando, tornando dalla fontana, il secchio, pieno di vita, ride
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