Ormai…
E’ questa parola che mi frega, buona parte delle volte che mi metto in viaggio. Scritta così, con quei punti di sospensione – in numero perfetto di tre – che fanno la differenza. Mi hanno fatto arrivare nei posti più impensati ed impensabili. Posti belli, sì, ma anche non belli. Per niente belli. Per fortuna, non è questo il caso. So che il posto verso il quale sto viaggiando ora non ha niente da spartire con quello che le esperienze mi fanno oggi riconoscere come brutto. E no, non scherziamo. Quello che non conosco, però, è il tragitto tramite il quale stavolta ci arriverò. Intanto, mi prende un colpo quando mi accorgo di essere tornata sulla statale 14, quella della noia mortale tra Latisana e Cervignano… ma ho fiducia nel Carso, qui non potrà essere più tanto soporifera.
E insomma, insomma, ormai ci sono. Passo San Giovanni al Timavo, e ho la sorpresa mozzafiato delle Bocche del Timavo sotto il monumento ai Lupi di Toscana. Perché non lo sapevo mica, io, che il Timavo scorre per la maggior parte del suo corso sotto il Carso, e che torna alla luce proprio lì, solo due chilometri prima di arrivare al mare! E no! E no!
Che rabbia, che mi prende davanti a questo spettacolo… e che spavento! Perché improvvisamente mi sento minuscola. Ma, soprattutto, breve. Tre anni che vado a zonzo per questa regione, e non ero mai passata di qui prima di oggi. Mi fermo. Scendo per un quarto d’ora dalla macchina. Chissà quanto altro di così bello c’è qui intorno senza che io lo sappia…
Il pomeriggio muore, e io sono qui, affacciata sulle tre bocche di questo fiume rabbioso, con questa strana vertigine addosso e l’incontenibile voglia di rivoltare questa regione come un guanto, di percorrerla in ogni angolo possibile. La vertigine è: non mi basterà tutta la vita. Gocciolare sul paesaggio richiede tempo, e filtrare ancora di più. Non mi basterebbe tutto il tempo del mondo. No, non mi basterebbe.
Rimonto, parto, proseguo.
A Sistiana comincia il tratto costiero della statale 14. Questo lo conosco. Ed è deserto, per una volta.
Da qualche parte tra Aurisina e Grignano mi fermo di nuovo: voglio dare un’occhiata al cielo, che non mi convince e che da quando ho passato l’Isonzo non ho più potuto tenere sott’occhio perché è passato alle mie spalle. Scendo e mi sgranchisco gambe e schiena, poi mi giro verso il mare e una frase mi affiora sulle labbra, ad alta voce anche se sono sola.
– "E nun agg’ capit’… ma che fai, stronzo, mi segui?".
Risponde, giustamente, lui:
– "Sì, come no, nun teng’ at’ che ffa’… sce’, veramente sei tu che mi stai fra i piedi dalle quattro…".
Ehm.
Non ha proprio tutti i torti. Adesso, poi, sembra veramente incazzato. Forse è meglio che mi defili, una buona volta. Senza nemmeno sorprendermi del fatto che un temporale friulano abbia parlato nella mia lingua, faccio un ultimo programma di viaggio (per quel che servono, a quanto ho potuto vedere): scendo a Trieste, faccio un giro sul molo e torno a casa. Ecco, sì.
Sono le sette passate.
Arrivo infine a Trieste.
Resto imbottigliata nel traffico di Trieste.
Dò ripetute craniate sul volante quando mi accorgo che è cambiato qualcosa dall’ultima volta che sono stata qui poco più di un mese fa e che sì, ci sono come allora diversi cantieri aperti per le strade nei dintorni del Molo Audace, ma non erano così tanti, e così estesi. Evidentemente stanno rimettendo a nuovo questa zona (o la stanno cablando, che fa lo stesso)… ergo, non c’è un quadratino di spazio libero nemmeno per appoggiare a terra una valigia, figuriamoci per parcheggiare un’auto. Il cielo, intanto, si fa sempre più scuro, bluastro. Cadono i primi goccioloni, i primi tuoni fanno tremare l’asfalto e ormai so quello che anche qui sta per succedere. Prendo la prima traversa a sinistra per immettermi di nuovo sulla Riva dei Caduti in senso inverso senza fare una manovra che mi valga l’arresto (vorrei essere a casa per cena) e resto impigliata in un groviglio di sensi unici a dir poco spettacolare. Voglio conoscere lo schizofrenico che ha stilato il piano della viabilità della città, davvero.
Altra mezz’ora di traffico, ma ne sono fuori. Mentre a Trieste arriva il temporale, appena superato il castello di Miramare ad ovest si apre uno squarcio tra le nubi. Il sole inonda la costiera lucida di pioggia ancora battente, e promette cielo sereno per il rientro. Sentitamente ringrazio, poi penso che, se qui c’è il sole, sai che bell’arcobaleno ci sarà tra poco…
Sulla rampa che sale all’autostrada, nemmeno tre minuti dopo, lo vedo. Dallo specchietto retrovisore. Maestoso, due archi concentrici… non sempre succede. Ed è, ovviamente, alle mie spalle. Craniata sul volante.
Poi, nuovo raptus.
Esco a Sistiana, giro a destra e cerco un posto dove accostare. Trovo una strada chiusa vicino un ponte della ferrovia, la infilo, evito per un pelo di salire con la ruota anteriore destra a trenta all’ora su un marciapiedi che ho visto all’ultimo momento per il riverbero della luce del sole sulla strada bagnata. Sono ferma? Sì.
Scendo, faccio qualche foto (anche abbastanza brutta, in verità), e senza scompormi faccio marcia indietro. Durata della deviazione per le foto: dieci minuti. Forse dovrei inziare a pensare seriamente alla possibilità di sottopormi ad una visita psichiatrica. Approfondita.
Alle otto sono finalmente in autostrada, prua ad ovest. Quattro ore in macchina, senza mettere quasi mai piede a terra. Potrei giustificarmi dicendo che qualche volta il paesaggio bisogna lasciarlo scorrere, sì, ma… non è vero. Avrei voluto scendere e camminare per tutto il pomeriggio. E’ solo che qualche volta, semplicemente… non va. Che cosa? Tutto, diciamo. Ogni tanto, va così. Che non va, cioè.
Tuttavia, oggi ho fatto esperienza di alcune cose, dalle quali ho imparato che:
– Il Friuli Venezia Giulia è una regione soggetta ad una irrazionale distribuzione di dispositivi regolatori del traffico. In alcune zone ce n’è un numero inspiegabilmente alto, mentre in altre avviene l’esatto contrario. Nelle zone in cui si verifica quest’ultimo caso, i suddetti dispositivi luminosi evidentemente finiscono con il soffrire di un tale stress da superlavoro da assumere un atteggiamento a dir poco sadico ed infame nei confronti degli automobilisti.
– Trieste, in alcuni punti del Friuli Venezia Giulia, è un punto mobile nello spazio. Con tendenza all’allontanamento dal punto in cui ci si trova (trattazione da ampliare).
– E’ bene controllare la direzione del vento, quando si esce di casa all’inizio di un temporale. Quando lui viene da nord-ovest, è normale che te lo ritrovi sempre in testa se viaggi verso sud-est.
– Non sempre è bene uscire con il serbatotoio dell’auto pieno. La tranquillità in questo senso può giocare strani scherzi. Guarda un po’ dove sei finita.
Sorrido. Certo che oggi me la sono proprio andata a cercare.
Rifaccio il pieno, e il cielo si infiamma nell’aria tersa lavata dalla tempesta. Vanno a fuoco anche gli ultimi strati nubi che restano di questo pomeriggio passato a rincorrere, senza nemmeno volerlo, un temporale di Maestrale. Vorrei fotografarli, ma mi si esaurisce la batteria della fotocamera. Pazienza. Ehi… com’è che faceva, quella canzone?
"Keep heading west – that’s the best
May be lost but I’m not crazy…"
Quarantacinque minuti, e cantando sono a casa.