Temporale di Maestrale – un pomeriggio friulano-veneto-giuliano (Prima Parte)

– "Che ne dici se oggi ti accompagno al lavoro? Così mi terrei la macchina, per questo pomeriggio…".
– "Certo, come no? Eh, dove te ne vuoi andare di bello?".
– "Boh, non lo so, magari non esco nemmeno visto che ho da studiare. Però sai, visto che fra qualche giorno vado via…".
– "Certo, è ovvio. Comunque non c’è problema, c’è pure il pieno appena fatto, così sei tranquilla e puoi andare dove vuoi…".
– "Grazie! Però va be’, se esco non penso che mi allontano più di tanto…".
– "Be’, intanto esci di casa tranquilla…".

Sorriso. Sorriso. Maledetto… sa sempre tutto un po’ prima che accada, lui.

Lo accompagno al lavoro, torno a casa, studio tutto il resto della mattinata.
Nel pomeriggio, verso le tre e mezzo, mi rimetto al lavoro sul tanto amato Perlesvaus. Apro i libri, abbasso lo sguardo sulle prime righe del sesto ramo. Fuori dalla finestra aperta, dalla striscia di monti celesti all’orizzonte ad un tratto rotolano in casa un bagliore e lo schianto di un tuono. Mi schivano per un pelo, sbattono contro il frigorifero alle mie spalle, ma lo schianto ci si schianta sopra, rimbalza e torna indietro – questa volta sulla traiettoria giusta – e fuggendo mi strappa via la voglia di studiare da quella specie di spugna che la natura mi ha piazzato tra le orecchie. Tutta. In un colpo solo. Non sono passati nemmeno quindici secondi da quando mi sono seduta. Cazzo, devo uscire a cercarla. Senza, non posso continuare a lavorare. Accidenti.
 
 Mi vesto in fretta e furia. Al momento in cui esco mollo un Galvano confuso e felice, ma anche decisamente terrorizzato, all’idea di quello che lo attende, dopo aver superato tante peripezie, nel Castello del Graal. In effetti chi non lo sarebbe, con tutte le aspettative che gravano sulle sue spalle? Voglio dire, uno più famoso e valoroso di lui ma piuttosto scemo c’è già passato e s’è scordato di fare una certa domanda a certe damigelle, il che ha fatto cadere morte e distruzione su un intero regno, oltre che diverse piaghe sul corpo del padrone di casa e insomma, adesso è lui che ci deve mettere ‘a pezza a culore. In più, a questo punto della storia Galvano è decisamente stanco e un po’ incazzato pure, ha visto più teste mozzate e gente brutalmente sventrata lui che il coroner di Siessài, e pensa che sarebbe ora di finirla. Per dire: lo pianto lì e me vado. Sono proprio una bastarda.

Dopo dieci minuti e senza sensi di colpa sono sulla A28, in direzione di Portogruaro. Alle mie spalle il cielo è grigio e attraversato da minacciose venature azzurre che appaiono e scompaiono in continuazione, mentre davanti a me il cielo è terso e il sole splende radioso. Penso che farò un giro in uno dei paesini che ci sono tra Pordenone e Portogruaro, va’, così non mi allontano troppo e fra un’ora o due torno a casa a studiare. Ma delle uscite che ho a disposizione, però, oggi nessuna mi attira (non come l’altra volta Sesto al Reghena, che poi sono finita a San Vito al Tagliamento), e così arrivo alla fine del tratto autostradale che mi ero prefissata di percorrere. Cosa faccio?
Mah, esco a Portogruaro. Vediamo se qua trovo qualche nome che mi ispira.

 A Portogruaro vedo un’indicazione per Concordia Sagittaria, che mi sembra un toponimo decisamente simpatico (ed è un posto che non ho ancora mai visto), lo seguo, solo che dopo qualche centinaio di metri scorgo un’altra indicazione, per Latisana. Uhm… sono tre anni che la sento nominare e la sfioro in autostrada, è un punto di riporto per due CTR locali, ma non ci sono mai stata. E allora via, svolto a sinistra e proseguo sulla statale 14 – e addio Concordia Sagittaria, sarà per la prossima volta. Amen.

Ah, ma qui il tempo è bellissimo! L’aria è tiepida, il cielo grigio che ho lasciato a Pordenone non si vede già più, il sole inonda i vigneti, e i campi coltivati, e le grandi faggete da legna, con i loro filari di alberi divisi per età… be’… sì, ma c’è qualcosa che non mi quadra: sono uscita da Portogruaro da un po’, sono nel verde da diversi chilometri ma non ho la sensazione di essere in campagna. No. Qui la campagna è… ordinata. Un po’ troppo, forse. E quando mai s’è vista una campagna ordinata? – penso io, anima innocente del Sud. Un’appendice verde dei centri abitati, ecco, ugualmente delimitata, squadrata, incivilita. Boh. Valli a capire, i veneti.
Intanto, beandomi del calore del sole e proseguendo placidamente rispettando i limiti di velocità e facendomi superare da tutti (anche da una Panda 4×4 color verde pisello) ritorno a dare un’occhiata alla segnaletica, e solo adesso un dettaglio inquietante mi salta davanti agli occhi: da quando ho lasciato Portogruaro, Trieste dista sempre 90 chilometri. Saranno ormai più di quindici chilometri che la distanza non diminuisce, e… uh, sono arrivata a Latisana. Che è attraversata dal Tagliamento, ohibò, che in questo punto è pieno d’acqua. "Nei punti dove il fiume si restringe è normale che ci sia più acqua", mi dirà saggiamente qualcuno in serata, ma al momento le mie capacità cognitive sono ben al di sotto dello zero, e passando il ponte sul venerando fiume ferox et rapax mi commuovo… e il velo di lacrime che mi illucidisce gli occhi solo per un capello non mi fa diventare un tandem a motore con la Tigra gialla che mi si è materializzata davanti. Ferma. Ferma? Ma come, siamo su un ponte!
Quando le lacrime si diradano, vedo bene che al termine del ponte c’è un semaforo, e che mi trovo in realtà nel pieno del traffico pomeridiano di Latisana. Manca un quarto d’ora alle cinque, e sono già tornata in Friuli. Bah. Quando, alle cinque in punto, arrivo al semaforo, decido che Latisana è troppo affollata, uffa.
E io detesto poche cose a questo mondo come il traffico.
E vedo un’indicazione per Grado.
Priva però del numerino che ne indichi la distanza.

Raptus da isteria da traffico: vado a Grado.

-continua-

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