Saluto

C’era una volta,

poco più di un mese fa, un viaggio.
Era un viaggio molto bello, uno di quei viaggi che al ritorno a casa si raccontano, e che restano incastrati negli interstizi del linguaggio che spesso si crea tra due individui uniti da quel sodalizio umano chiamato amicizia come lo sporco tra due mattonelle. Breve, denso, senza  molte tappe, eppure pieno zeppo di deviazioni: se qualcuno avesse avuto la pazienza di segnarne la traccia su una mappa, questa avrebbe fatto  forse pensare al girovagare di due schizofrenici. Perché, nonostante quello che si sente dire in tivù, è così che vanno certi viaggi, ed è ancora una fortuna. "Ma questa è un’altra storia, e si dovrà narrare in seguito", diceva racconto di tanti anni fa. Quello che importa, in ogni caso, è che il viaggio di cui stiamo parlando – iniziato sottovoce, quasi in silenzio – finì con il diventare un groviglio: di suoni, di colori, di impressioni, di ripensamenti, di interminabili chiacchierate e di presenze, legati gli uni agli altri con la stessa coerenza del succedersi degli eventi di un romanzo cavalleresco medievale. Quale significato essi abbiano avuto i due amici forse lo sapranno, magari, appena incontreranno il primo monaco eremita disposto ad ascoltare il loro racconto e a dar loro la giusta chiave di lettura per tutti gli straordinari incontri di questo viaggio d’altri tempi.

Nell’attesa, intanto, il tempo mastica e digerisce il ricordo del viaggio. Tuttavia, da qualche parte, in questo momento uno di quei due viaggiatori alza lo sguardo dalla sua scrivania, guardando a ovest, e ancora si domanda cosa sia stato della misteriosa radice che tentava di sfuggire all’oscurità delle sale di quel castello che dominava la città dalle mura sorvegliate, e chi fosse quel buonuomo addormentato sotto il colonnato di quella cattedrale nel sole del meriggio, o quale fosse il nome della grande montagna rossa che sanguinava pietre dal fianco orribilmente ferito; socchiude gli occhi al ricordo della merenda pomeridiana quel giorno, su a nord, e a quello della luce che quell’altro giorno al mattino si posò su una sconfinata pianura che un tempo era stata di un grande e valoroso imperatore romano.
Ancora, con le rondini un pensiero fugge alle ultime chiazze di neve, scintillanti nel primo sole primaverile sulle colline di un paese molto più a nord di qui, a quell’angolo lunare di breccia asciutta e sfinita dal tocco della sapiente mano dell’uomo, a quel piccolo cimitero di montagna sospeso nel vuoto e poi… laggiù, là, un saluto corre alla bella e gentile fanciulla che discorrendo versò (e bevve) tre bustine di zucchero in due dita di tè, e che sognava… insieme al suo gatto, sognava un balcone.

Più in alto, poi, un altro puntino sulla mappa, c’era il clown, quello che colleziona attimi, dal sorriso sincero, finito nel luogo in cui lo abbiamo incontrato non si sa bene come, magari perché "il posto da cui vengo io è la noooooooooia!". Nella città dalle insegne bianche e azzurre lo abbiamo incontrato, e per due ore con lui – come con la Fanciulla della Città delle Guardie – s’è parlato come tra esseri umani si parla da millenni a questo mondo… per raccontare, per descrivere e descriversi gli uni agli altri. ‘Capirsi’ sarebbe parola grossa, forse, ma ‘annusarsi’ forse no. E’ un rituale non scritto, che si ripete mai uguale ma costante nei crocevia, tra viaggiatori. Ci si guarda, ci si parla, si tenta di farsi ri-conoscere in qualche modo, ci si fa raccontare di luoghi mai visti prendendo in prestito gli occhi di chi si incontra anche solo per un momento.

Dopo, chissà se e quando ci si rivedrà di nuovo… ma intanto, da fermi, intorno ad un tavolino davanti ad un caffè, viaggiare ugualmente – di paese in paese, di parola in parola.

C’è stato quindi non molto tempo fa, un viaggio, durante il quale per tutto il tempo non s’è fatto che camminare, raccontare, vedere. Con i tempi che corrono, permettete, non è poco.

In questo momento, su una piccola città del Nord Est del grande Paese-Stivale spira un leggero e caldo vento di Ostro. Domani o dopodomani pioverà, pare, ma per ora nell’aria c’è odore di salsedine, e fino all’orizzonte il cielo ha i riflessi della più grande coppa di spumante che si sia mai vista. Da un balcone che affaccia su una delle strade maestre di questa città, qualcuno, con uno strano sorriso stampato in volto, saluta.

Come, chi?

Ma voi, no?

Proprio voi.

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