Di Nuvole e Altro

 Trieste, venti marzo duemilacinque.

["Hoho’ Trieste / Città del mondo…"]

Si va trovare "la Bella Addormentata che attende il risveglio". Questa volta è per accompagnare L., che non c’è mai stato… ma fin dal mattino, il cuore ugualmente canta. E’ per via delle Eus, e non c’è molto che ci si possa fare. Ogni incontro con questa città è per me un fatto intimo, un fatto di Voci, di Mare, di Vento e di riverberi. Così difficile da dire, che non credo di aver mai nemmeno pensato di poterci riuscire. Ma come si fa a spiegarle, queste Voci…

[…"Balorda e coccolona"…]

… che iniziano a far festa…

[…"Senza creste / Zufoli fla’ fla’ "…]

… e a parlare, o sussurrare o, nel migliore dei casi, a cantare tra le pareti del cranio appena metto piede sulle sue strade?

[…"Hoho’ Trieste / Lunatica nervosa"…]

Come si riesce a star seduti su una panchina sul lungomare nei pressi di Piazza dell’Unità d’Italia – in un giorno in cui la Bora pulisce con colpi decisi lo stesso cielo che nello stesso momento a Pordenone è coperto da orizzonte a orizzonte – e vedere questo, senza riceverne l’impressione che qui il Vento parli…

[…"Groppo de sentimenti"…]

… la stessa Lingua di questa città?

[…"Del Nord ocio celeste / Del Sud pelle del sol"…]

A dispetto di quello che lasciava presagire il cielo subito dopo la nostra partenza da Pordenone, la giornata qui ha appena mutato pelle. Gabbiani, passeri e colombi llitigano per le briciole degli avanzi del nostro pranzo. Una coppia di passaggio sui moli porta al guinzaglio un cucciolo di cocker bianco e nero che non resiste alla tentazione di gettarsi a capofitto abbaiando verso la piccola folla di volatili che abbiamo intorno ai piedi. Decine di ali frullano, poi minuscole piume perdute rimangono per un attimo sospese nell’aria, e infine il vento le sparge dove più gli piace. Solo i gabbiani hanno snobbato il piccolo guastafeste.

[…"E satanassi in corpo (…) / Lotta che mai finissi"…]

Un enorme gatto nero, dal collarino rosso e dalle lunghe e foltissime vibrisse bianche, dorme imperturbabile scaldandosi al sole su una macchina del suo stesso colore. Si lascia accarezzare accennando a far le fusa senza nemmeno alzarsi, senza aprire gli occhi. Senza fretta. Dev’essere, senza dubbio, l’Imperatore in carica di questa assolata zona della città vecchia… oppure è Borin, il figlio della Bora, che ogni tanto si aggira per il porto in forma di gatto nero slegando i nodi degli ormeggi delle barche, per far dispetto agli uomini.

[…"Hoho’ Trieste (…) / tre spade de tormenti / Tre strade tutte incontri.
O Trieste / Piazze contrade androne"…]

E si cammina… si cammina… e non so come, mi ritrovo sotto l’obelisco di Opicina. E penso: questa città piace, conquista, e, se si fa amare, vuole veramente che il groppo de sentimenti che si nutre per lei sia così profondo, così viscerale? Così diceva un’altra Voce. E mi sembra talmente vero… ma perché? Non lo so.

[…"Trieste ha una sua scontrosa / grazia. Se piace, / è come un ragazzaccio aspro e vorace, / con gli occhi azzurri e mani troppo grandi / per regalare un fiore; / come un amore / con gelosia".]

Anzi, no: lo so bene, il Perché. Quello con l’iniziale maiuscola, intendo. Ma Trieste non accetta apposizioni, credo. Si concede, accoglie, a volte persino consola…

[…"Col naso entro vetro / Vardo e me godo / Le bellezze tue"…]

… ma, a chiamarla con un Nome diverso dal suo, non ti degna di una risposta. Sogghigna e ti guarda con tenerezza, insieme. Poi si volta, pigra e nuda sotto il sole, e ti mostra del suo volto o del suo corpo – con sincerità assoluta – qualcosa che fino a quel momento non avevi notato. Eppure, sempre, essa resta un corpo, un mondo finito. Dolcemente cullato da Carso e Adriatico, sferzato dal lamento della primogenita della grande famiglia del Vento, che ancora precipita sulla città attraverso il valico di Postumia tenendo vivi nella memoria dei Triestini la rabbia e il dolore per la perdita dell’amato Tergesteo.

["(…) ti / te ga un zigo che spaura / te ga ‘l mio mistero / bora / (…) fa de mi bandiera".]

Un mondo finito. Così la chiamava la Voce delle Cose Leggere e Vaganti. E tale rimane, questo crocevia del mondo che non ha bisogno di imparare lingue straniere per accogliere un viaggiatore, fatto di visi che prendono la giornata un po’ come viene e un po’ come cercano di farla andare. Dorme soltanto a prima vista, questo mondo finito, che invece brulica e pulsa con un ritmo tutto suo in ogni vicolo, in ogni piazzale, su ogni molo.

["Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un’oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.

Qui tra la gente che viene che va
dall’osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l’infinito
nell’umiltà.

Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d’amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
(…)

Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via".]

Di creature è fatto appunto questo mondo a Nord Est, finito sì, ma anche spensierato e benevolo, sebbene negli angoli inquieto e un po’ alienato. Piace perché è finita e incompiuta, Trieste, e ha tutto e sa far tutto: costruire, scalare, struggersi e cucinare, divertirsi e coltivare, navigare e commerciare, far scarpe, combattere e poetare. E conquista per il suo saper voler bene anche ad un flagello come la Bora, e perché tra i tavoli bianchi del Caffè Tergeste – incastonata com’è in uno spigolo della Terra in cui Monte e Mare si stringono la mano – "(…) tu concili l’italo e lo slavo, / a tarda notte, lungo il tuo biliardo".

Bella, fiera, folle, dimenticata, nostalgica. Vecchia, sporca, sorridente, saggia. Vivace, gaia, sfuggente, rigogliosa.

Una poesia in forma di città.

Di cui la mia Lingua, qui foresta, non conosce ancora il Nome.

Ma tant’è, se vale per tutte le Parole:

"Voi lo sapete, amici, ed io lo so.
Anche i versi son fatti come bolle
di sapone; una sale e un’altra no".

Viva là, e po bon!

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