Gocciolando sul Nord – Elenco Incompleto e Imperfetto

 … e andava. Andava avanti, il tempo. Scorreva, lui, ed io restavo indietro perché… perché… perché i primi incontri umani nel Nord, diciamo la verità, erano riusciti a far venir ghiaccio in luglio. E il "Buongiorno!"? Svanito nel nulla. E io? Sempre più fuori posto, sempre più spaesata.
Ma conosco gli esseri umani. Sono fatti così. Dovrebbero prendere lezione di democrazia dal paesaggio in seno al quale nascono, ma il più delle volte a scuola dimenticano di insegnar loro questa cosa. Così, di tanto in tanto, arriva il momento in cui bisogna ingaggiar battaglia… e quello dell’emigrazione è spesso uno dei momenti che lo richiede con più decisione. La battaglia dell’emigrazione cinquant’anni fa si faceva con la Vergogna, da ambo le parti: quella che si poteva vedere sul marciapiedi della stazione insieme a chi partiva, e quella che chi accoglieva non sempre risparmiava a chi arrivava. Bei tempi…
Oggi, la stessa battaglia si fa a colpi di sorriso, l’unica arma forse veramente efficace contro l’ultimo, oscuro nemico che in questi casi resta da combattere.

Perché no, Uomo del Nord Est, non te la dò questa soddisfazione. Non ti lascio chiudere le porte della tua terra al foresto solo per un’abitudine che non ha più alcuna ragione di essere, se pure mai l’abbia avuta. Troppo luminoso, quel "Buongiorno!" per darlo in pasto ad un inutile cinismo. Solo così, alla fine, il Nord Est ha ceduto. A furia di sorrisi. Uno alla volta. Una goccia alla volta.

E ora lo so, che cos’è il Nord. Ora posso rispondere alla domanda che mi ponevo qualche tempo fa… perché non solo ci sono andata, nel Nord, ma ci sono anche piovuta sopra….  e dentro, ma poco. Perché per filtrare, per quello sì che ci vuole tempo…

Il Nord, allora, è innanzitutto Nord Est. E’ aria… umida… grigia. D’inverno è caligo, anche per settimane, è pianura di pioggia fine e battente, di bruma e di sporadica neve leggera, pastosa, e gelate mattutine di quelle che se esci di casa presto, al mattino, ti svegliano a schiaffi e poi scappano via, lasciandoti in fibrillazione fino a ora di pranzo. Il Nord Est è poi pianura senza venti, o almeno così pare, perché l’unico vento di cui lì si avverte l’arrivo sembra la Bora, quella nera e quella bianca, che pulisce, lava il paesaggio fino all’orizzonte grattando via lo schermo di caligo dietro cui sparisce la cinta di monti celesti all’orizzonte disegnata dalle cime della Pala Fontana, del Monte Fara, del Col della Gallina e del Monte Cavallo, dietro le quali si nascondono le valli e le genti che mi hanno rimesso in pace – forse definitivamente – con i luoghi da cui vengo, sì. Sì… ci sono la Valcellina con le sue Eus, le Voci e il campanile di pietra che Napoleone Cozzi descrisse come "pietrificazione dell’urlo di un dannato" e Compton come "il monte più illogico", ci sono le affilate cime delle Dolomiti Friulane che un giorno, a guardarle dall’agordino, mi sembrarono talmente taglienti da richiamare l’immagine un colaposate pieno di coltelli lasciati ad asciugare con la punta all’insù – il colaposate di dio distratto? – al quale oggi non riesco a pensare senza sentirmi riempire il cuore di… blu. Sì, perché quando soffia la Bora il cielo del Nord Est diventa gelido, sì, ma blu, BLU! Un blu largo, alto, profondo, a tre dimensioni, ENORME, come quello che c’è a casa mia dove maestrale e levante la fanno da padroni per tutto l’anno.
Nord è poi il luogo in cui i cognomi finiscono in sillaba chiusa, dove "alla Posta non c’è mai fila" e dove in banca il cassiere mi tratta con gentilezza e non disdegna di far quattro chiacchiere durante il tempo che le mie operazioni richiedono; è dove la pista ciclabile mi porta in qualunque angolo della città senza farmi incrociare una sola macchina, e quello in cui mi chiedono "liscio?" ogni volta che al bar prendo il caffè. Nord è anche Memoria di certe grandi guerre non ancora del tutto perduta, ed è Memoria di guerra che non sa di deserto, di malaria e di epatite come dalle mie parti. E’ terra che parla a voce più bassa e che non ricorda più come si canta, di mercati quasi del tutto silenziosi e di persone che sembrano aver chiuso il mondo intero in un ufficio, anche nei pomeriggi delle domeniche estive quando sono al bar a prendere un gelato con gli amici. Ancora, Nord è un grande orecchio che talvolta non riesce a sentir parlare una lingua diversa dalla propria senza prender paura, e che a volte per questo ispira tenerezza come un bambino terrorizzato dalla propria ombra sul muro. E’ suolo di abeti, larici, betulle, càrpini e pini mughi, è città a forma di stella, è moli audaci e piazze sfavillanti dal riverbero nivale, è colori tenui e lingua antica, spigolosa e dolcissima insieme. Nord è il luogo in cui ho scoperto quali sono i diritti che spettano ad ogni essere umano che viva sul suolo italiano con l’intenzione di trascorrere la propria vita in pace, e quello in cui ho osato per la prima volta reclamarli e usarli, con tutto lo stupore di questo mondo, per poi scoprire che, infine, essi mi sono riconosciuti là come a casa mia, se solo ho la forza di pretenderli senza esitare. Senza aver paura. Più o meno. Che è pur sempre qualcosa.
Nord… alla fine, ho scoperto anche che Nord non è Milano, esattamente come Napoli non è il Sud; che le grandi città sono gabbie dorate, vetrine allettanti, più spesso realtà a sé stanti e costantemente sull’orlo di una crisi di nervi, che respirano secondo ritmi differenti da quelli di tutto ciò che le circonda, anche da quelli del paesaggio che le ospita. E che, soprattutto, il più delle volte rappresentano ben poco di quello con cui vengono idenfiticate, esseri umani compresi.

Nord è un posto in cui non è bello camminare in una sola direzione, ma in cui è meraviglioso calarsi, colarsi, zampillare dove il paesaggio lo richiede, anche fino a separarsi in decine di rivoli… per parlare con le persone senza aver vergogna di dire da quale luogo si proviene, per ricordare, per raccontare e, quindi, per non perdere né perdersi. Nord è un elenco non-finito, non-compiuto, non-completo e non-perfetto. Ma lungo. E largo. Che inizia , e finisce qui. E che, forse, è meglio interrompere. Qui.

Ma dove?

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