Che cos’è il Sud?
Una vocina nella testa ripete sempre più insistentemente questa semplice domanda da quando, un paio di settimane fa, un amico che abita nella Grande Metropoli del Nord chiacchierando al telefono mi ha chiesto:
– "Scusa, ma cosa si fa di sera lì da voi? No, perché onestamente non riesco proprio ad immaginarmelo…".
Ricevere in risposta la spiegazione che qui da noi si fa quello che si fa in tutte le altre città – perché anche qui nei grandi e piccoli centri esistono quegi ameni luoghi di ritrovo denominati pub, birrerie, discoteche e locali vari che offrono musica e divertimenti per un pubblico più o meno diversificato – però non gli era bastato, a quanto pare. Qualche giorno più tardi, tornando in ballo l’argomento, mi diceva:
– "No, sai, è perché al Sud si sa che non ci sono tutte le cose che ci sono da noi… e allora, se io abito in una grande metropoli, mi viene da pensare che fuori ci sia il deserto…".
Mah… in effetti non credo di poter quantificare il numero di volte in cui ho sentito fare considerazioni del genere. In effetti, il Nord sa così poco del Sud che l’immagine più recente che ne ha, nel suo immaginario, sembra essere il dagherrotipo di una partenza di emigranti degli anni Cinquanta. Avete presente?
Ma come diverge questa immagine da quella che ho davanti agli occhi tutti i giorni… e allora, mi chiedo, che cos’è il Sud per chi, a venticinque anni, ci è nato e ancora ci abita? Cos’è il mio Sud?
Prima di tutto, il Sud è: animali randagi. Cani e gatti, che se ne vanno in giro senza padrone, che sembrano radunarsi in piccole comunità dotate di vita propria come quelli de "La Città dei Gatti" del Marcovaldo di Calvino, che si incontrano per strada e che si lasciano accarezzare, che se vogliono possono anche svelarti l’esistenza di una clandestina e tenace alleanza con gli esseri umani ben più solida di quella domestica, o l’esistenza di invisibili angoli di paradisiaco silenzio nelle viscere di un corpo di milioni di metri cubi di calcestruzzo. Il Sud è cani come la grigia meticcia Virgola, la guida turistica gratuita a quattro zampe del Parco Virgiliano di Napoli, dalla coda a forma dell’omonimo segno di interpunzione.
Poi, il Sud è pane. Panificare è un mestiere duro, faticoso e ingrato, che altrove in Italia ormai si esercita sempre meno con criterio, e sempre più con metodi industriali. Sono molte le ragioni storico-sociali che sottendono all’attaccamento del Sud alla propria cultura culinaria, e di alcune di queste ragioni il semplice ma miracoloso risultato sono nomi come palatone o canestrato, e un profumo buono di cenere che non si può descrivere in alcun modo, ma al quale si può ancora rendere onore ogni giorno recandosi in un qualsiasi panificio di primo mattino.
E poi, Sud è tufo, quella roccia vulcanica porosa con cui abbiamo così tanta inconsapevole familiarità e che è il colore, l’odore e la consistenza stessi della terra che ci ha generati. Sud è il giallo del tufo, che non è ocra né senape, è quel colore senza nome che, fondendosi con i tramonti più rossi che arancioni di questo lato dell’Italia, partorisce quella luce che sa di zolfo, di passato e di silenzio che d’estate investe le nostre campagne.
Ancora, Sud è Macchia Mediterranea abitata da esseri umani che somigliano in tutto e per tutto, fisicamente e caratterialmente, alle specie vegetali che la popolano; è lunghissime passeggiate con gli amici in piccoli paesi svuotati dall’emigrazione e dimenticati anche da chi dall’emigrazione è tornato; è l’erba e i cespugli che crescono sui cornicioni degli antichi palazzi trascurati dalle sovrintendenze ai Beni Culturali; è tirar tardi, fino a mattina, a chiacchierare davanti ad una cioccolata calda in uno dei bar del centro storico (di Caserta, non di Napoli) o sotto una delle arcate dell’Acquedotto Carolino; è serate in giro per locali affollati a montare e smontare impianti di amplificazione, strumenti e proiettori video quando si parte in paranza a far musica, dura e non, in giro per la Campania con gli amici musicisti; è vita che costa meno perché fortunatamente non c’è nessuno che cerchi di esportarla; è birra annacquata e pizza sempre e comunque buona; è munnezza, e odore di ginestre e canto di cicale da maggio a settembre, e di colline che ad agosto vanno a fuoco con puntualità elvetica; è interminabili attese in qualsiasi luogo ci sia bisogno di disporsi in fila e attendere il proprio turno per far qualcosa; è subire spesso il tentativo di fotterti da parte di qualcuno che morto di fame lo è dentro.
Sud è una modernità nata altrove che è entrata senza chiedere permesso, accomodatasi e alla fine stabilitasi qui in tutta calma e serenità… e che convive con le vestigia di tempi antichi sotto forme a dir poco bizzarre.
Infine, Sud è dove trovi tua nonna seduta fuori, vicino alla porta di casa sua, in estate. E’ anche inverni piovosi e noiosi, è una bufera di vento alla settimana, è freddo che non è mai veramente freddo e Africa che viene a farti visita fin dentro casa anche se in Africa non ci sei mai stato e nemmeno hai mai avuto desiderio di andarci.
Il Sud, se ci sei nato e cresciuto e hai venticinque anni, è il luogo dove raramente qualcosa va per il verso giusto, quello da cui vuoi fuggire e con cui non smetti mai di litigare, ma del quale, quando parli con il foresto, non ti riesce in fin dei conti di dir male, perché male non gli vuoi. Come ogni casa, è il luogo in cui sai dove mettere i piedi per non calpestare le tombe altrui. E in cui sai dove andare quando vuoi mettere un fiore sulle tue. E’ un paesaggio in cui tutto quello che entra smette improvvisamente di essere nuovo e inizia a profumare di polvere, di cenere e di tempo… e a parlare di cose antiche e dimenticate… con parole corrotte, e assolute.
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